Mussolini e Churchill, una storia segreta, rivelati sconcertanti dettagli inediti sul loro rapporto

Mussolini, Pino Nicotri ha intervistato Marco Pizzuti, autore di una nuova biografia in 3 volumi.
(Quarta parte, le precedenti le trovate qui).

C’è chi sostiene che Mussolini abbia scelto di affiancare la Germania nella seconda guerra mondiale per evitare che poi invadesse anche l’Italia, tanto era convinto della grande potenza militare ed economica dei tedeschi.

R – Nonostante il fatto che gli storici si ostinino a rappresentare Mussolini come grande amico e alleato di Hitler, è vero l’esatto opposto. Mussolini assunse il potere nel 1922, Hitler nel 1933 e quando era ancora solo il leader di un movimento ultranazionalista tedesco, il duce italiano era il suo idolo e aveva il suo un busto in ufficio. Hitler chiese più volte di poterlo incontrare ma Mussolini lo evitò con ogni pretesto fino a quando fu praticamente costretto nel 1934 a causa della sua ascesa a capo della più grande potenza economica e militare europea.

Fu infatti Mussolini, sempre nel 1934 a impedire a Hitler di invadere l’Austria schierando 4 divisioni tra Brennero e Tarvisio con l’ordine di intervenire in caso di attacco tedesco.  il 22 maggio 1939, dopo il Patto d’Acciaio, un’alleanza militare che molti storici leggono come atto di cieca fedeltà al Terzo Reich – immediatamente dopo la firma, Mussolini diede ordine di accelerare la costruzione della fortificazione alpina nota come Vallo Littorio, in seguito ribattezzata con l’eloquente soprannome di ‘Linea Non Mi Fido’.

Proprio in quanto temeva una invasione tedesca alla prima controversia. Poi, nonostante la firma del Patto d’Acciaio e lo scoppio del conflitto (1 settembre 1939, invasione della Polonia), Mussolini, tutt’altro che allineato a Hitler, avviò trattative segrete con Londra. Il 24 novembre 1939, attraverso l’ingegner Prospero Gianferrari, emissario riservato del regime, venne aperto un ufficio nella capitale inglese per negoziare la fornitura di armi e materiali destinati a rendere la Germania inoffensiva.

D) – Con quale scopo?

R) – Prevenire un futuro attacco al suolo italiano. L’interlocutore diretto del Duce in questo intrigo diplomatico fu nientemeno che Winston Churchill. I colloqui sotterranei di cui abbiamo documentazione proseguirono fino al dicembre del 1939, quando furono bruscamente interrotti a causa dell’intensificarsi dell’attività spionistica tedesca. Il controspionaggio del Reich stava per scoprire il doppio gioco italiano.

A gennaio 1940, Hermann Göring, per conto di Hitler, inviò a Mussolini una lettera furente, nella quale intimava la cessazione immediata di ogni contatto con le potenze occidentali, pena gravissime conseguenze. E ancora, nel maggio 1940 su diretto ordine di Mussolini, Galeazzo Ciano informò la Segreteria di Stato vaticana del piano tedesco di sfondamento delle linee alleate attraverso i neutrali Paesi Bassi e Belgio.

Era il preludio dell’offensiva fulminea che avrebbe aggirato la Linea Maginot, consentendo alla Wehrmacht di travolgere le forze anglo-francesi. Il Vaticano, rispettando le consuetudini della diplomazia pontificia, trasmise l’informazione all’Aia e a Bruxelles il 3 maggio 1940. Ma fu tutto vano. Il 10 maggio 1940, la Germania scatenò l’offensiva e nulla poteva più arrestare la furia bellica del Reich.

Una alleanza di facciata

Mussolini e Churchill, una storia segreta, rivelati sconcertanti dettagli inediti sul loro rapporto (Fonte Ansa) – Blitz Quotidiano

L’alleanza di facciata con Hitler era dovuta a causa di forza maggiore per evitare l’invasione dell’Italia ma sapeva anche che in caso di vittoria del Terzo Reich, l’alleanza della Germania con la debole Italia si sarebbe trasformata in un rapporto di protettorato su una sua colonia.

D – E c’è chi sostiene addirittura che sia entrato in guerra affianco alla Germania su richiesta di Winston Churchill.  Il leader inglese era convinto che in caso di vittoria tedesca l’Italia come sua alleata ne avrebbe ammorbidito le sicuramente molto dure condizioni per la pace. Ogni tanto c’è chi sostiene che nelle carte che Mussolini aveva con sé nella fuga fermata dai partigiani a Dongo ci fosse anche il carteggio con Churchill su questi argomenti.

R – Fu esattamente così. Oggi, numerosi indizi, corroborati da testimonianze autorevoli e documenti ufficiali, concorrono a delineare un quadro ben diverso dalla narrazione convenzionale. Benito Mussolini intratteneva rapporti con l’intelligence britannica sin dai tempi della Prima guerra mondiale, quando ricevette finanziamenti per sostenere l’intervento italiano al fianco della Triplice Intesa.
Non solo: nel corso degli anni, il futuro Duce divenne amico personale di Winston Churchill, che giunse persino a fargli visita a Roma e con cui siglò un contratto editoriale. Londra era perfettamente a conoscenza dei tentativi segreti, e in parte disperati, compiuti da Mussolini per frenare l’espansionismo hitleriano.

Nel 1938, subito dopo l’Anschluss, egli riuscì a organizzare e a condurre un recalcitrante Hitler al tavolo della Conferenza di Monaco, nel tentativo di scongiurare l’annessione della Cecoslovacchia. Ma a sua grande delusione, furono proprio gli alleati occidentali a spalancare le porte all’aggressione tedesca, disinnescando ogni mediazione e lasciando il Führer libero di agire. Quando, nella primavera del 1940, la Francia crollava sotto l’avanzata della Wehrmacht e la Gran Bretagna si ritrovava drammaticamente sola a contenere il dominio tedesco sul continente, le principali capitali dell’asse anglosassone,  Londra, Parigi, Washington, tornarono a rivolgersi al Duce. Gli fu chiesto di intercedere presso Hitler per mitigare le condizioni dell’imminente pace.

D – Ci sono prove?

R) – I verbali riservati del War Cabinet britannico del 26 maggio 1940 rivelano che, in cambio della sua mediazione, all’Italia sarebbero state concesse importanti compensazioni territoriali nel Mediterraneo e nelle colonie francesi del Nord Africa. Mussolini, attraverso il ministro Galeazzo Ciano, rispose che, non essendo ancora parte attiva del conflitto, l’Italia non aveva il titolo politico necessario per presentarsi al tavolo dei vincitori.

In un successivo incontro, il 28 maggio, Ciano lasciò tuttavia trapelare a Sir Percy Loraine, ambasciatore britannico a Roma, che la soluzione poteva essere una partecipazione italiana simbolica, una guerra d’apparenza, con “un pugno di morti”, sufficiente a giustificare la presenza dell’Italia ai futuri negoziati di pace.

D – Mi pare però che a questo punto la documentazione ufficiale si interrompa.

R – Sì, ma altre fonti, dichiarazioni e testimonianze sui carteggi segreti suggeriscono che la diplomazia parallela proseguì. E che Churchill avrebbe accettato il compromesso proposto da Mussolini: un intervento militare formale contro la Gran Bretagna, utile solo a garantire all’Italia lo status necessario per trattare con Hitler da pari a pari. Doveva essere una guerra simulata, breve, con un fronte fittizio.
Ma accadde l’imponderabile. Hitler, in una mossa inaspettata, ordinò l’arresto dell’avanzata tedesca a Dunkerque, lasciando sfuggire le forze alleate e rinunciando all’invasione dell’isola britannica (l’Operazione Leone Marino) per concentrare le sue ambizioni sull’Unione Sovietica. A quel punto, per Churchill, l’aiuto di Mussolini divenne superfluo. E con esso, anche i patti segreti. Nonostante ciò, Mussolini si ostinò a mantenere fede all’accordo, conducendo per mesi una guerra apparente, più teatrale che reale.

D – Per esempio?

R – L’Italia, ad esempio, evitò scientemente di occupare la strategica isola di Malta nel cuore del Mediterraneo, mentre Londra iniziò subito una guerra vera con il bombardamento di Genova. Il Duce, tuttavia, conservava con sé un’arma potenzialmente devastante: i celebri carteggi segreti con Churchill, che portava nel suo bagaglio al momento della cattura e che egli stesso riteneva “più importanti di una guerra vinta”.

In quei documenti, si celava la verità sulle reali motivazioni dell’intervento italiano nel conflitto, un intervento che Mussolini aveva cercato fino all’ultimo di evitare attraverso la formula della non belligeranza. Fu proprio per mettere a tacere questa scomoda verità che venne scatenata contro di lui una spietata caccia internazionale. Gli agenti inglesi stavano coordinando ampi settori della Resistenza, con un solo obiettivo: impedirgli di parlare in un processo pubblico. La fucilazione davanti al cancello di Villa Belmonte, così come ci è stata raccontata a livello ufficiale, fu una messinscena.

 

Le ultime ore di Mussolini

Secondo ricostruzioni accreditate da testimonianze coeve ma assolutamente autorevoli (la più recente è divenuta di dominio pubblico solo nel 2022), Benito Mussolini e Claretta Petacci furono catturati, torturati e giustiziati la mattina del 28 aprile 1945 in una località tristemente nota come Casa de Maria. Una pagina oscura della storia italiana ed europea, che attende ancora di essere letta senza pregiudizi, alla luce di tutte le sue implicazioni diplomatiche, morali e strategiche.

D – Il cognome Mussolini è dovuto davvero a un’origine araba o comunque mediorientale di suoi avi arrivati dalla città di Mosul o comunque venditori della particolare tessuto chiamato mussola? Tessuto che prende il nome dalla città di Mosul ed all’origine al cognome di famiglia del futuro Duce? La mussola era prodotta inizialmente in cotone, poi anche in lana e lino. Il suo nome deriva appunto da quello della città di Mosul, sulle rive del fiume Tigri nell’attuale Iraq, dove gli europei nel 17° secolo la scoprirono e da dove iniziarono a importarla. Anche se in realtà quella stoffa era nata a Dacca, nell’attuale Bangladesh.

R – Per quanto di mia conoscenza, l’ipotesi che il cognome Mussolini derivi da una presunta origine araba o mediorientale, connessa alla città di Mosul e al tessuto chiamato mussola, è stata suggerita in chiave etimologica, ma non ha fondamenti storici documentati solidi. Anche se non è possibile escluderlo, credo sia solo una congettura, spesso evocata più per suggestione linguistica che per prove genealogiche concrete.

D – La storia matrimoniale e genitoriale di Mussolini non è stata molto edificante. In particolare – ma non solo – per avere fatto internare e morire in manicomio la sua ex amante Ida Dalser e il figlio di entrambi, Benito Albino Dalser. Poi c’è il capitolo Rachele Guidi e Claretta Petacci.

R – Come amante, marito e capo famiglia, Mussolini non è un certo stato un modello esemplare. Fu sessualmente molto attivo e Rachele fu tradita innumerevoli volte. La Dalser venne sfruttata quando aveva bisogno di danaro per il suo giornale e poi abbandonata come il figlio Albino anche se va ammesso che entrambi non erano affatto sani di mente.

D – Tra le sue amanti Mussolini ha avuto anche Margherita Sarfatti, scrittrice e protagonista della scena culturale milanese, che ebbe un ruolo importante nella sua vita. Ne diventò infatti la confidente più intima e ne influenzò anche la politica culturale. Sarfatti era ebrea. Come può Mussolini essere poi diventato complice di Hitler nella politica contro gli ebrei?

R – Contrariamente a quanto spesso si sostiene in modo sommario, Benito Mussolini non nutriva inizialmente alcuna ostilità preconcetta nei confronti del popolo ebraico. Basti ricordare, a titolo esemplificativo, oltre alla Sarfatti anche la figura di Angelica Balabanoff, intellettuale e militante rivoluzionaria di origine ebraica, con cui lo stesso Mussolini intrattenne per lungo tempo un’intensa relazione affettiva e politica.
Ma vi è di più. In un contesto poco esplorato dalla storiografia convenzionale, è documentata una collaborazione tra il regime fascista italiano e il movimento sionista revisionista guidato da Vladimir Zeev Jabotinsky (1880–1940), orientamento ideologico che avrebbe avuto un ruolo cruciale nella futura nascita dello Stato di Israele.

D – Quale collaborazione è documentata?

R – Nel mese di ottobre del 1934 giunsero a Civitavecchia i primi ventotto allievi ufficiali ebrei, accolti per ricevere formazione presso la Scuola Marittima. Nei tre anni successivi, il numero dei diplomati superò le duecento unità. Le uniformi di questi cadetti recavano emblemi di pregnante valore simbolico: un’ancora, la Menorah, il candelabro a sette bracci dell’ebraismo e il fascio littorio. In occasione di alcune cerimonie ufficiali, gli allievi salutavano alla romana, come testimoniato da Avram Blass, capo del primo gruppo di allievi, in seguito elevato al rango di ammiraglio della Marina israeliana.

Il secondo corso di formazione, inaugurato nel 1936 alla presenza del rabbino capo di Roma, rafforzò ulteriormente tale iniziativa. Nello stesso anno fu acquistato un veliero a motore di sessanta metri, il Quattro Venti, ribattezzato Sarah I, che salpò alla volta della Palestina, dove fu accolto con solenni festeggiamenti dalla comunità ebraica locale. Tale imbarcazione viene oggi considerata il primo mercantile della moderna marina mercantile israeliana.

D – Ho letto che in pratica a Civitavecchia è nata la marina mercantile israeliana.

R – Ed è vero. Tuttavia, questo periodo di relativa apertura fu bruscamente interrotto nell’autunno del 1938, quando il regime fascista, in ossequio alle pressioni hitleriane e in pieno allineamento con la Germania nazionalsocialista, promulgò le famigerate leggi per la difesa della razza.

È opportuno sottolineare, in un’ottica di onestà intellettuale, che pur nella loro evidente infamia, tali norme si limitarono alla discriminazione e all’esclusione sociale, senza mai giungere — almeno nella loro applicazione iniziale all’internamento sistematico.

I campi di concentramento, infatti, furono implementati dalla Germania a partire dal 1941, in un momento storico in cui l’Italia aveva già perduto ogni reale autonomia politica nei confronti del suo ingombrante e potente “alleato” germanico. Infine, per un confronto che non si presti a doppi standard morali, si ricordi che negli Stati Uniti d’America, sovente celebrati come baluardo della democrazia liberale, le leggi razziali segregazioniste contro i cittadini afroamericani rimasero in vigore in diversi Stati federati fino al 1965, ben vent’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

D – Mussolini nella sua fuga finale per tentare di non essere riconosciuto si vestì con la divisa di militare tedesco.  Per chi ha governato lo Stato, l’Italia prima e la repubblica di Salò dopo, indossare una divisa militare straniera, per giunta per puro opportunismo, non è il massimo della vigliaccheria e del tradimento verso il proprio Paese?

R – Molto dipende dalla prospettiva storica da cui si osservano gli eventi. Se, come alcune fonti suggeriscono, Mussolini era effettivamente in possesso di documenti di grande rilevanza strategica per il futuro dell’Italia, come i noti carteggi con Churchill e altri documenti sensibili, è comprensibile che cercasse di evitare la cattura da parte dei partigiani. In quel frangente, si riteneva che alcuni gruppi della Resistenza agissero anche in linea con le direttive provenienti da ambienti angloamericani, i quali avevano tutto l’interesse a impedirne la sopravvivenza e, di conseguenza, a evitare che determinati documenti potessero emergere in sede processuale, generando imbarazzo o ricadute politiche per Londra e i suoi alleati.

 

Published by
Pino Nicotri