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“Il boss delle cerimonie”: reality dove si sposano camorristi offende napoletani

“Il boss delle cerimonie”: reality dove si sposano camorristi offende napoletani

ROMA – Il titolo è già tutto un programma: “Il Boss delle Cerimonie“, andato in onda per la prima volta venerdì scorso su Real Time non poteva certo passare inosservato per ambiguità e contenuti. La trasmissione dedicata ai matrimoni napoletani e ambientata alla Sonrisa di Sant’Antonio Abate ha scatenato non poche polemiche, anche e soprattutto per il proprietario, presentato a inizio puntata: Antonio Polese, è lui appunto il boss cui si fa riferimento nel titolo del programma.

Dopo la messa in onda della prima puntata, la furia dei napoletani, offesi da certi stereotipi di matrimoni trash con neomelodici e sfarzo a dismisura, si è riversata sul web.

Ma aldilà del carattere kitsch  della trasmissione, c’è qualcos’altro che disturba la sensibilità dei napoletani. Tanto da destare l’attenzione di Sel che ha sollevato pure un’interrogazione a risposta scritta ai ministri dello Sviluppo Economico, dell’Interno e della Giustizia. Firmatari sono Arturo Scotto e Gennaro Migliore.

Nell’interrogazione si ricostruisce la vicenda degli abusi edizili legati al grand hotel La Sonrisa, che per anni ha ospitato anche la trasmissione Rai “Napoli prima e dopo“. Abusi in relazione ai quali è in corso un processo.

“La procedura è ancora in corso, eppure il 10 gennaio 2014 ha esordito sull’emittente “Real Time” il docureality di sei puntate “Il boss delle cerimonie”, programma che segue l’organizzazione e la realizzazione da parte di Antonio Polese e della sua famiglia di cerimonie di matrimoni presso il “Grand Hotel La Sonrisa” -scrivono Scotto e Migliore- “la rappresentazione ivi proposta della napoletanità come eccesso, volgarità ed ignoranza diffusa ha provocato sui social network proteste e manifestazioni di sdegno, con gruppi e fanpage che chiedono di chiudere la trasmissione e propongono il boicottaggio del programma”.

Ma non basta, continuano gli esponenti di Sel: “il “Grand Hotel La Sonrisa” era già stato, peraltro, teatro del matrimonio tra Marianna Giuliano, figlia di Luigi Giuliano, capo dell’omonimo clan, e Michele Mazzarella, figlio del boss di Santa Lucia; tale matrimonio, avvenuto otto anni fa, era servito a creare un’alleanza tra le due famiglie e dimostrare al quartiere napoletano di Forcella la forza ed il potere che insieme i due clan erano in grado di raggiungere.

In più per stessa ammissione del genero di Antonio Polese, La Sonrisa è stata utilizzata anche per la cerimonia del matrimonio tra Gioacchino Fontanella e Maria Carfora, appartenenti entrambi alle cosche di Sant’Antonio Abbate. I due parlamentari sottolineano poi che

“negli anni ’80 Antonio Polese era stato condannato a due anni e mezzo di reclusione per favoreggiamento; secondo gli inquirenti il patron del “Grand Hotel La Sonrisa” avrebbe sfruttato l’antica camorra contadina, ovvero quella che faceva affari con la macellazione abusiva e con il mercato del latte e delle mozzarelle che imponevano ai commercianti; anni fa Polese fu sospettato anche di avere rapporti con il boss Cutolo e di nasconderne presso il “Grand Hotel La Sonrisa” una sorella, ma le perquisizioni eseguite dalle forze dell’ordine non diedero conferma a questa ipotesi”.

Intanto sui social network quel trionfo del kitsch ha fatto indignare molti napoletani. Per Federico Arienzo, presidente della Seconda municipalità di Napoli, “la cosa peggiore è che queste feste sono bollate come tipiche della tradizione partenopea. Nulla di più falso”. E su Facebook ha fondato il gruppo “Chiediamo la chiusura del programma  Il boss delle cerimonie”.

Daniela Lauria

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Daniela Lauria
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