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Google. I fari dell’Antitrust e del Senato Usa sul regno Mountain View

Ap photo/Lapresse

NEW YORK – Che Google domini le ricerche web è cosa nota, i due terzi degli americani usano il motore per le proprie ricerche e i numeri sono più o meno gli stessi anche in Europa. Le grane però per la “big G” sono iniziate quando l’Antitrust Usa (Federal Trade Commission) ha deciso di aprire un’inchiesta per abuso di posizione dominante: stando ai sospetti Google taglierebbe fuori i concorrenti e farebbe una selezione illecita dei siti, minacciando sia i vari portali e sia i consumatori.

Adesso il primo passo del percorso che promette di essere lungo, tra carte, avvocati e strategie web da preparare, sarà quello della testimonianza in Senato del presidente di Google, Eric Schmidt, in persona. L’audizione è programmata per il 21 settembre alla 2 del pomeriggio e, accanto al suo nome, in lista ci sono anche alcuni rivali che verranno sentiti dall’assemblea americana.

In realtà, quello in Senato, è solo uno dei diversi filoni dell’inchiesta che punta a stringere sempre di più il campo di manovra di Google, qualora si rivelassero fondati i sospetti di un comportamento sleale. Ciò che non convince l’Antitrust americano sono le mire espansionistiche del colosso di Mountain View:  mercato pubblicitario, ricerca, telefonia mobile,  televisione online, editoria e viaggi. Che metodi usa Google visto che è pronta a mettere le mani su tutti questi settori? Cosa c’è di illegale nella sua “scrematura” dei siti nelle ricerche degli utenti su internet?

A queste domande risponderanno gli esperti, ma si è già levata la barricata dei concorrenti, da Tripadvisor a Expedia, passando per Yelp l’accusa contro Google è sempre la stessa: big G promuove i suoi “link, li mette in cinma alla lista delle ricerche, penalizzando così tutti gli altri.

“Ci oscura”, dicono altri. Per ora Mountain View ha messo le mani avanti e sta provando a espandersi su più fronti: a provato a comprare Yelp ma non ci è riuscita, ha rilevato un competitor di TripAdvisor per cercare ristoranti e alberghi, comprando le storiche guide Zagat (di cui Yelp è il rivale in versione web).

“Non sappiamo nulla, siamo come le tre scimmie, ma sappiamo che se si parte per quest’avventura la strada sarà lunga e difficile”, dicevano dal quartier generale del gruppo informatico qualche tempo fa. Adesso dovranno pure sapere qualcosa visto che il Senato americano, la commissione giudiziaria dell’Antitrust per l’esattezza, reclama risposte, proprio come fece tredici anni fa quando accuse simili erano rivolte contro un altro grande colosso, Microsoft.

Nel 2002 in appello però Microsoft alla fine incassò una mezza vittoria, nonostante venne riconosciuta colpevole di alcuni comportamenti illeciti: Bill Gates il primo novembre salutò con soddisfazione il verdetto dell’Antitrust che alla fine non impose nessuno smembramento dell’azienda, i codici sorgenti rimasero proprietari né ci furono versioni di un Windows “leggero”, ma il colosso avrebbe dovuto aprirsi maggiormente alla concorrenza secondo vincoli stabiliti fino alla scadenza fissata il 12 maggio 2011.

“La somiglianza tra Google e Microsoft di qualche anno fa? E’ il potenziale dannoso, il rischio che un’azienda dominante sfrutti il suo potere ha svantaggio di altri”, ha spiegato al New York Times Mitchell Kapor, esperto della Silicon Valley. “Google, però, è nato nell’era di internet aperto e di fatto le cose sono molto più aperte all’innovazione di quanto lo fossero nella prima era Microsoft”, ha continuato.

La tecnologia  cambia in fretta: lo dimostra il fatto che Microsoft ad oggi è “il perdente”, Google è più avanti. Con che mezzi sia arrivato a questo punto, però, è tutto da dimostrare.

“Google è una grande successo della storia americana, ma le sue dimensioni, posizione e potere nel mercato hanno sollevato preoccupazioni circa le sue pratiche di mercato e ha sollevato la questione sulle responsabilità”, ha detto il senatore Richard Blumenthal, democratico del Connecticut, che è membro della commissione che sentirà Schmidt.

Intanto il metodo Google non cambia: appena inserita una parola, il motore risponde a trentacinque milioni di domande al secondo e per adesso resta ancorata al suo modello di algoritmo che non ha alcuna intenzione di mollare, nonostante da più parti si provi a manipolarlo per avere vantaggi.

Da Microsoft, come scrive il Wall Street Journal, però Google avrebbe da imparare un motto, quello di Bill Gates: “Mai sembrare arroganti”.

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