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Lo Stato paga in ritardo: servono mappatura e tracciatura

di Alberto Francavilla |26 Febbraio 2020 10:06

ROMA – Ultimamente viene affrontato con grande enfasi il tema del ritardo di pagamento alle imprese fornitrici di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione (vedi da ultimo, Repubblica 29 febbraio 2012, che titolava in prima pagina, a nove colonne: “Ecco il piano di Governo e Bankitalia per restituire 20 miliardi alle imprese”).

Il problema è reale e di dimensioni notevoli: riguarda la generalità delle amministrazioni pubbliche, si concentra nel settore sanitario, vede l’Italia tra i cattivi pagatori nel contesto europeo, è significativamente più rilevante nella parte meridionale del paese. Si potrebbe aggiungere infine che presenta un forte grado di indeterminatezza: le stime, effettuate da molte associazioni di fornitori, presentano valori tra loro molto divergenti e questo, di per se, rappresenta un segnale evidente di inefficienza dell’operatore pubblico.

I debiti commerciali degli enti della pubblica amministrazione in attesa di essere pagati non dovrebbero essere stimati dai creditori; dovrebbero bensì essere conosciuti dagli enti debitori con esattezza (all’euro si potrebbe dire) e il relativo ammontare pubblicato ufficialmente, secondo un predefinito schema riassuntivo, ad intervalli regolari. E’ evidente che in molti casi, le pubbliche amministrazioni non conoscono, se non con grande ritardo e molta approssimazione, i beni e servizi che hanno acquistato, ed il relativo prezzo da pagare.

Le ragioni del ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, sono riconducibili a due ordini di fattori: la carenza di liquidità e la difficoltà di gestire il ciclo passivo (come, con ampia documentazione, si analizza nel saggio: M. Degni, P. Ferro, “I tempi e le procedure dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni”, CNEL 2012).

La prima ragione è spesso l’unica ad essere considerata poiché negli ultimi quindici anni, a partire dal periodo che precede l’ingresso nella moneta unica, si è spesso agito, sotto la necessità del contenimento del deficit e del debito pubblico, con restrizioni di bilancio e manovre di tesoreria che hanno condizionato significativamente le possibilità delle amministrazioni di rispettare il programma dei pagamenti.

Le cause della carenza di liquidità dipendono: dagli interventi sulla spesa pubblica centrale e dal ritardo con cui vengono effettuati i trasferimenti tra livelli di governo (da Stato a Regioni, da Stato a enti locali, da Regioni a enti locali); dal ritardo relativo alle procedure di accertamento e riscossione (spesso effettuate dal centro e successivamente trasferite); dal sistema contabile dello Stato e degli enti territoriali (basato sul principio della competenza giuridica e della gestione dei residui); dai limiti posti all’indebitamento degli enti territoriali; dai vincoli del Patto di stabilità interno (che agisce sugli impegni e sui pagamenti); dall’obbligo del pareggio di bilancio, ormai divenuto vincolo stringente anche per il livello centrale; dalla rigidità delle spese correnti e dall’applicazione di tagli lineari per approssimare il pareggio. L’intreccio di queste cause ha portato, con diversi livelli di approssimazione, alla individuazione di soluzioni di natura finanziaria per smaltire l’arretrato accumulato e rispondere in tal modo alle legittime richieste dei creditori, trasformati impropriamente in finanziatori del sistema pubblico.Ma questo è solo un lato del problema. Esiste infatti un’altra ragione, in molti casi preponderante, alla base del ritardo di pagamento: la scarsa capacità di gestire il ciclo passivo da parte degli enti pubblici. Si tratta di una difficoltà strutturale, che presenta forti elementi di criticità. Senza recidere questo nodo non si risolve il problema e la smobilitazione totale o parziale dello stock, con strumenti finanziari, avrebbe solo un effetto temporaneo.

Lo stock pagamenti inevasi si riformerebbe rapidamente con effetti negativi permanenti sul debito pubblico, come è avvenuto nella sanità del Lazio tra il 2000 e il 2005, che rappresenta il case study negativo più rilevante in Italia: finché ha prevalso l’ingegneria finanziaria, o finanza creativa che dir si voglia, il problema è rimasto insoluto e i costi per i cittadini e la amministrazione pubblica sono stati elevatissimi.

La difficoltà di gestione del ciclo passivo da parte degli enti pubblici dipende da molti fattori: la difficoltà di affiancare sistemi di contabilità finanziaria a sistemi di contabilità economica, sia nello Stato sia negli enti territoriali (per colmare questo divario sono stati approvati recentemente il decreto legislativo 168/2011, in attuazione della legge 42 del 2009 per gli enti territoriali, ed il coevo schema di decreto per le amministrazioni centrali) ; il mancato utilizzo in forma diffusa di processi di dematerializzazione e tracciatura; la difficoltà di gestire in forma integrata e dinamica la programmazione dei fabbisogni, degli ordini, dei controlli delle forniture e della fatturazione. Se non si affronta questo ordine di problemi, che sono per grande parte di natura organizzativa, non si può dare al problema del ritardo dei pagamenti alcuna soluzione valida.

La risposta alla crisi di liquidità è stata caratterizzata dall’aumento dell’intermediazione, diffondendo fenomeni di cartolarizzazione del credito (fino alle restrizioni introdotte nel 2007). Tale prassi ha prodotto diversi effetti negativi: generalizzazione della cessione del credito (tipicamente attraverso l’acquisto pro-soluto), con modalità non continuative e finalità di mero recupero, anziché di gestione del processo, facendo venire meno il collegamento tra fornitore e pubblica amministrazione; produzione di rilevanti oneri per interessi a carico della pubblica amministrazione (inferiori rispetto a quelli previsti dalla normativa in vigore, ma comunque molto consistenti); induzione nelle amministrazioni di una prassi accomodante (si liquida solo in prossimità dell’operazione di smobilizzo dei crediti, anziché in funzione del processo produttivo); perfezionamento delle transazioni al di fuori del territorio nazionale (generalmente in Svizzera) per evitare il pagamento della tassa di registro.

La cattiva gestione del ciclo passivo favorisce l’instaurarsi di un rapporto diretto tra fornitori (o cessionari) e enti pubblici per determinare la liquidazione di un certo credito piuttosto che di un altro, con evidenti effetti distorsivi. Ciò espone l’ente ad una forte pressione da cui possono scaturire favoritismi e comportamenti non corretti.

Si producono inoltre errori e duplicazioni, non sempre individuabili: le pubbliche amministrazioni rischiano in tal modo di pagare doppio e male (in modo inappropriato ed a destinatari diversi dai titolari effettivi). Si presta il fianco a fenomeni corruttivi, per la difficoltà di controllare la liquidazione di partite debitorie accumulate per lungo tempo, di cui si perde ogni nesso con la prestazione fornita.D’altra parte l’intermediazione ha svolto anche un ruolo positivo per le imprese creditrici. Negli ultimi anni di crisi ed elevata tensione sulla liquidità, gli intermediari finanziari del settore factoring hanno assicurato continuità nell’operatività, cercando di mantenere costante il livello di credito nei confronti della propria clientela e sostenendo i cedenti nella gestione delle dilazioni e dei ritardi di pagamento.

Tuttavia, vi è da evidenziare che anche gli intermediari esprimono crescenti difficoltà nel porre in essere operazioni aventi a oggetto i crediti vantati verso la pubblica amministrazione, che implicano elevati livelli di assorbimento di capitale e costi di raccolta della liquidità sempre più elevati.

Vi è poi da considerare che il ritardo nei pagamenti espone l’ente alle numerose iniziative di recupero da parte dei creditori, accrescendo il fenomeno del pignoramento. Il problema del contenzioso in parte è fisiologicamente legato alla verifica delle forniture e all’eventuale contestazione della qualità e quantità delle stesse (l’amministrazione quindi non paga fino alla verifica e, in caso di contenzioso, fino alla definizione giudiziale o extragiudiziale dello stesso: nelle indagini periodiche anche questo è considerato pagamento ritardato, ma ha natura diversa e connaturata all’agire e ai rapporti commerciali tra imprese e amministrazioni) ed è stato all’origine di situazioni spiacevoli che recentemente hanno fatto molto scalpore nell’opinione pubblica.

Un’inadeguata politica difensiva dell’ente nell’ambito della gestione del contenzioso sul credito fa sì che lo stesso soccomba sistematicamente davanti al giudice, trovandosi in difetto anche nei casi in cui ci sarebbero ragioni oggettive di contestazione (dopo la condanna del giudice si perde il legame con la sostanza del credito e resta solo il problema dell’esecuzione del pagamento). La situazione caotica (soprattutto nei crediti sanitari nelle regioni centro meridionali) ha favorito la proliferazione di studi legali specializzati nell’aggressione delle pubbliche amministrazioni (sono stati registrati anche fenomeni di impugnazione distinta per ogni singola fattura, per aumentare le spese legali, in contrasto con espliciti pronunciamenti della Corte di Cassazione).

Su questa situazione s’innesta poi l’annoso problema dei tempi della giustizia che nel nostro paese sono eccessivamente lunghi e si riflettono sul problema dei ritardi nei pagamenti sia per la lungaggine dei processi (segnatamente di quello esecutivo) sia perché spinge i creditori a ricercare soluzioni stragiudiziali che inevitabilmente compromettono l’integrità del quantum da riscuotere, procurando un danno economico che le imprese tendono a incorporare nei prezzi offerti.

La riorganizzazione del ciclo passivo rappresenta quindi una formidabile occasione per avviare una azione di spending review, che non può essere ridotta al sommario e riassuntivo esame dei dati di bilancio, ma deve entrare nel cuore delle procedure amministrative e contabili, per individuare inappropriatezze ed inefficienze. Si potrebbe iniziare dalla ricognizione dei flussi delle aziende sanitarie, dove si concentra la parte preponderante dei ritardi di pagamento, mettendo a fuoco il processo di liquidazione della spesa (mappatura dei centri, dematerializzazione, tracciatura dei flussi, identificazione dei processi di cessione, integrazione dei flussi tra fornitori, cessionari ed aziende sanitarie; centralizzazione del contenzioso e dei processi di pagamento): un gruppo centrale, presso il ministero della funzione pubblica, con collegamenti a livello regionale, potrebbe fare molto. E’ ora di farla finita con la produzione di carte a mezzo carte.

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