Trump ha subito, ora Zelensky e l’Europa devono ingoiare: le ragioni di Putin, le paure dei Baltici - litzquotidiano.it (Vladimir Putin nella Foto Ansa)
Proviamo a metterci nelle scarpe di Putin. Ne trarremo comprensione e paura e anche uno scenario della politica mondiale ben più allarmante di quanto si legge sui giornali.
A cosa mira Vladimir Putin? Una risposta la troviamo in coda a un articolo di Simon Sebag Montefiore pubblicato sulla New York Reviw of books il 24 febbraio 2005.
Montefiore ha scritto vari libri sulla Russia, a cominciare proprio da una biografia di Potemkin. Seguono Gli uomini di Stalin. Un tiranno, i suoi complici e le sue vittime, Il giovane Stalin, I Romanov, 1613-1918. Al suo attivo c’è Gerusalemme. Biografia di una città, l’ultima opera EN) Il mondo. Una storia famigliare (The World: A Family History of Humanity, 2022) mi ha un pochino deluso.
In coda all’articolo della NYRB intitolato “An affair to remember” (Una storia d’amore da ricordare) e dedicato al rapporto fra la Grande Caterina e Potemkinn, Montefiore fa questa rivelazione.
Durante i primi mesi della presidenza di Vladimir Putin, fui segretamente avvicinato da un alto funzionario del Cremlino che mi incontrò in un hotel di Londra e mi disse che un personaggio di altissimo livello, il cui nome non poteva essere nominato, stava cercando modelli storici per lo Stato russo e si chiedeva se pensassi che Potëmkin, con il suo mix di umanitarismo e autoritarismo, potesse rappresentare una base utile per un presidente russo del XXI secolo. Mi chiese di scrivere un memorandum sull’argomento, cosa che feci.
Non sentii altro. Ma la mia impressione è che nell’ex Unione Sovietica di oggi, così come in Occidente, ci sia un consenso sempre più ampio sul fatto che nessuno personifichi gli enigmi della Russia in modo così vivido come Potëmkin. Il sodalizio imperiale tra Caterina e Potëmkin, brillantemente rivelato in queste lettere, è stato a lungo trascurato, ma questi due personaggi straordinari, contraddittori e spesso amabili hanno lasciato un impero potente che avrebbe avuto il potenziale per sconfiggere la Francia napoleonica e diventare l’arbitro dell’Europa.
In questi giorni è in corso sui social network una campagna che ha tutte le caratteristiche di uno sforzo di immagine volto a convincere gli europei occidentali delle buone ragioni russe. Gli argomenti sono validi, dal punto di vista di Mosca.
Ma quello è il punto di vista dí Mosca, opposto all’interesse degli italiani. Anche se forse mai Putin sognerà, come si temeva una volta, dí abbeverare i cavalli dei cosacchi in piazza San Pietro (i russi dopo Napoleone arrivarono a Parigi ma se ne vennero via) le probabilità sono alte che nelle sue mire ci sia la riconquista delle ex repubbliche baltiche. Ma queste oggi sono fieramente inserite nella Nato e nella Unione Europea che fare se Putin fa come in Ucraina?
Noi italiani non possiamo dimenticare il nostro interesse che consiste nella appartenenza alla sfera americana anche in questo confuso momento in cui a Washington siede uno che fa il gioco di Putin e i russi, invece di ringraziarci per Al Bano, Totò Cotugno, Ricchi e Poveri e Pupo ci rinfacciano l’invasione voluta da Mussolini nel 1942 come per dire: noi siamo gente pacifica, gli aggressori siete stati sempre voi. Difficile dar loro torto, come è difficile ignorare i maneggi americani in Ucraina.
Ma questa volta l’Italia dovrebbe dimostrare quella coerenza che il mondo ci ha sempre rinfacciato di non possedere (vedansi 1915 e 1943).
Non possiamo ignorare che l’appartenenza americana ci ha permesso di trasformarci da paese di poveretti costretti a emigrare a una delle terre più ricche al mondo, ottavi nella graduatoria globale del Pil.
Ci sarebbe toccata una ben diversa sorte se gli accordi di Yalta nel 1945 ci avessero accomunato alla Yugoslavia e agli altri Paesi europei dell.’Est. Altro che cameriera ucraina, a fare le badanti ci andavate voi o i vostri parenti.
Anche la Germania Est, nazione più forte di tutte quelle satelliti sovietiche, e ancora oggi, 35 anni dopo l’unificazione, ben in arretrato rispetto all’Occidente.
Un decisivo contributo alla nostra appartenenza all’area americana fu dato dal capo del Partito comunista italiano Palmiro Togliatti, che sfidò le spinte rivoluzionarie dei suoi dirigenti e della sua base, ancorché forse aiutato anche dagli ordini di Stalin che voleva rispettare gli accordi con gli americani.
Poi venne la via italiana al socialismo e fu rottura: fine dei finanziamenti, infiltrazione terroristica, compromesso storico.
Forse anche per questo a Mosca hanno cambiato tattica. Finito il disegno di esportare la rivoluzione in Occidente, il nuovo capo del Cremlino, che dal KGB viene e solo dei suoi sodali del KGB si fida, lo ha sostituito con una nuova grande strategia, ripristinare la grandezza dell’impero russo, quale fu almeno fino alla guerra di Crimea.
Non è più tempo di puntare, finanziandoli, sui movimenti di sinistra, rivelatisi poco affidabili. Meglio guardare a destra: più credibili come sostenitori. Da Schroeder a Farage, da Le Pen a Salvini, ciascuno da il suo contributo nei limiti della sua capacità di azione. Ovviamente essere il Presidente degli USA ti dà una possibilità di azione ben maggiore che essere capo di un partito con l’8% dei voti.
In questo quadro bene fa Giorgia Meloni a stare allineata e coperta con gli Stati Uniti. I presidenti passano, la grande politica è quella di decenni. E la lezione di Berlusconi serve di monito per tutti.
Vediamo a questo punto quali potrebbero essere i grandi obiettivi del nuovo zar erede di Potemkin e Caterina:
1 la Cina
2 l’Europa e la Nato
3 l’economia americana
4 lo sbocco nel Mediterraneo e il ritorno della base in Siria
5 il controllo della sponda meridionale del Mediterraneo nel caos post Gheddafi (causato dagli americani).
Sui primi tre punti, l’azione di Trump è stata coerente con gli obiettivi russi. Il caos è totale, la guerra dei dazi minaccia tutte le economie del mondo, inclusa quella americana. Vedremo cosa farà Trump in Medio Oriente dopo che i russi sono stati praticamente espulsi dalla Siria.
Anche se non possiamo dimenticare il disastro fatto dal duo Obama – Clinton con le primavere arabe nel regolamento di conti con i residui della influenza sovietica nel mondo arabo.
Ne possiamo dimenticare lo sciagurato abbandono americano dell’Afghanistan alla fine del primo mandato di Trump nel 2021, tutto nel segno della rivincita russa all’ombra del Grande Gioco.
Chi vuole saperne di più sulla infiltrazione in Occidente dei servizi segreti russi deve comprare un libro, disponibile su Amazon, scritto nel 2020 da una giornalista inglese, Catherine Belton, già corrispondente da Mosca del Financial Times.
Il titolo dice tutto: “Gli uomini di Putin. Come il KGB si è ripreso la Russia e sta conquistando l’Occidente”.
Ne riporto alcuni paragrafi, che hanno un riscontro italiano, in una mia traduzione. Fanno capire il profondo senso patriottico che muove Putin e i suoi e fa presagire il peggio per noi.
Lascio a voi la lettura dei capitoli dedicati a Trump e Berlusconi. Leggendo di quest’ultimo ho avuto un lampo sulla ragione ultima della sua caduta.
Scrive Catherine Belton. Jean Goutchkov e Serge de Pahlen, un uomo alto con folte sopracciglia imponenti e una fronte alta, erano da tempo vicini a Putin. “De Pahlen è uno degli amici più cari di Putin. Proviene da una delle famiglie più nobili della Russia”, ha affermato un collaboratore di Ginevra.
Quando il nonno di Goutchkov si stabilì a Parigi dopo essersi unito alle centinaia di migliaia di persone in fuga dalla Rivoluzione bolscevica del 1917, la sua famiglia e quella di de Pahlen vivevano come parte di una diaspora unita dal dolore per la perdita del loro impero e dalla devozione alla cultura russa e alla Chiesa ortodossa.
I servizi segreti sovietici avevano cercato a lungo di infiltrarsi nella diaspora della Russia Bianca, prima per infiltrarsi nei movimenti di opposizione e poi per reclutare agenti per rafforzare il proprio potere. Per coloro che reclutavano, si trattava di una fonte di denaro tanto necessaria e, per alcuni, di una finestra su un impero russo in cui credevano ancora, indipendentemente da chi avesse preso le redini del potere.
Nel 1981 De Pahlen strinse un legame prezioso sposando Margherita Agnelli, figlia del capofamiglia Fiat, e fu subito nominato responsabile delle relazioni internazionali della Fiat. Da lì, continuò a visitare frequentemente Mosca, intrattenendo rapporti con i pezzi grossi del Partito e i banchieri stranieri che sostenevano il regime sovietico. La Fiat era sempre stata un partner chiave dell’Unione Sovietica e, secondo due ex intermediari del KGB, era diventata un fornitore di tecnologie a duplice uso attraverso una miriade di aziende amiche.
Nel frattempo, Goutchkov lavorava a Mosca, supervisionando un gruppo di banche francesi che fornivano finanziamenti all’industria petrolifera sovietica.
De Pahlen incontrò Vladimir Putin per la prima volta nel novembre 1991, quando Putin era vicesindaco di San Pietroburgo e de Pahlen contribuì a organizzare il ritorno in Russia dell’ultimo erede degli zar, il Granduca Vladimir. Conosceva già il sindaco di San Pietroburgo, Anatoly Sobchak, attraverso la comunità russa bianca di Parigi, e tra lui e Putin si instaurò un’intesa immediata. De Pahlen “ha scelto Putin”, ha detto un altro membro di questo gruppo di mentalità imperialista, Konstantin Malofeyev: “Ha detto: ‘Questo tizio la pensa come noi'”.
Nessuno dei due riusciva a pensare alla Russia come a qualcosa di diverso da una grande potenza. Erano entrambi sconvolti dal crollo del Paese e dal caos che si stava scatenando dopo il fallito colpo di stato di agosto. Mantennero stretti contatti: ogni volta che Putin era a Parigi, andava a trovare de Pahlen, e anche Sobchak e la sua famiglia gli rimasero vicini. Quando Putin divenne presidente, de Pahlen gli diede immediatamente il suo sostegno. Alla vigilia del suo primo incontro con il suo omologo francese Jacques Chirac, Putin si rivolse a de Pahlen per un consiglio.
Cenarono insieme in una sala privata di un ristorante parigino, dove de Pahlen gli disse che avrebbe dovuto governare per trent’anni, finché Caterina la Grande non avesse regnato. Era l’unico modo per ristabilire l’ordine, gli disse. Era l’unico modo per riportare la Russia a essere una potenza globale.
Goutchkov e de Pahlen erano membri di spicco di una rete di discendenti dei russi bianchi che contribuirono a spingere Putin nella missione di ripristinare la posizione globale della Russia dopo il crollo sovietico.
Putin si era ispirato agli scritti e alle filosofie dei russi bianchi in esilio che avevano descritto il percorso unico del paese come impero eurasiatico, il suo destino di contrapposizione all’Occidente, mentre cercava di forgiare una nuova identità russa e di costruire ponti con il passato imperiale pre-rivoluzionario. Le loro parole sembrarono colpirlo profondamente, e Goutchkov e de Pahlen lo sostennero con tutto il cuore nel suo tentativo di frenare il potere degli oligarchi dell’era Eltsin dopo aver assunto la presidenza.
Approvarono l’enfasi sulla costruzione di un nuovo sistema di fedelissimi del Cremlino. “Quando ti trovi in settori strategici, fai parte dello Stato”, ha affermato uno dei soci di Ginevra. “Petrolio, gas, telecomunicazioni: per definizione questi sono settori strategici. Se ti trovi in questo settore, sei al servizio dello Stato”. Non sei indipendente dallo Stato”. Putin “aveva la sacra missione di salvare il Paese”, ha detto una persona vicina a Goutchkov.
Per de Pahlen, quando ci siamo incontrati nel suo ufficio di Ginevra disseminato di libri, Putin è stato fondamentale per la rinascita della Russia: “Ha fermato la disintegrazione del Paese e ha avviato la ricostruzione di una nuova Russia. È molto importante per l’America, che non vuole un mondo multipolare. Non vuole una Russia forte”.
Le privatizzazioni degli anni Novanta, ha detto, sono state “barbare”. Goutchkov e de Pahlen non sembravano particolarmente preoccupati del fatto che gli uomini del KGB di Putin stessero adottando i loro metodi barbari, calpestando i diritti legali mentre affermavano il controllo sull’economia.
Si dicevano che la sovversione del sistema legale da parte del Cremlino facesse parte di una missione storica per ripristinare il potere russo in contrapposizione all’Occidente. “Tutti rubavano”, ha detto uno dei loro soci di Ginevra. Ma poi è arrivato Putin e ha detto: “Basta. Ora è il momento che la Russia sia una grande potenza del XXI secolo… Avete ricevuto molto dalle risorse russe. Ora è il momento di restituire”.