Prostitute uccise: responsabilità di Stato, a partire dalla legge Merlin

di Pino Nicotri
Pubblicato il 19 Maggio 2014 - 13:45| Aggiornato il 9 Marzo 2015 OLTRE 6 MESI FA
Prostitute uccise: responsabilità di Stato, a partire dalla legge Merlin

Riccardo Viti

ROMA – Che sia stato arrestato l’idraulico fiorentino 55enne Riccardo Viti, seviziatore di prostitute e assassino della rumena Andrea Cristina Zamfir, è senza dubbio un fatto positivo. Ipocrisie a parte, resta però intatta la responsabilità principale di questo tipo di femminicidio, che consiste nell’uccidere le prostitute. Responsabilità chiaramente da addebitare all’avere chiuso, nel 1958,  le “case chiuse” lavandosene le mani delle conseguenze. Quella principale è che la chiusura ha provocato il dilagare della prostituzione sulle strade e in luoghi di estrema periferia o lande di campagna decisamente poco sicuri.

Se le italiane esercitano a casa loro, con maggiore confort e sicurezza, la marea di extracomunitarie, non di rado immigrate clandestine, esercita invece in condizioni di assoluto degrado e di assoluta mancanza di sicurezza fisica nei confronti di troppi malintenzionati. E infatti le prostitute uccise sono ormai sempre africane o est europee, cosa che ha contribuito all’irresponsabile mancanza di volontà di legittimare e normare il mestiere “più antico del mondo” anche introducendo controlli igienico sanitari e la tassazione, come normale per qualunque professione a diretto contatto con il pubblico e per almeno sette civilissimi Paesi europei: Austria, Paesi Bassi, Belgio, Germania, Grecia, Lettonia e Ungheria.

E’ chiaro che sdoganando il mestiere della “lucciola” e sottoponendolo a regole si taglierebbero le unghie ai contrabbandieri di carne umana e agli altri malavitosi che lucrano anche sull’industria del sesso. Mettere ordine nel  settore e renderlo trasparente significherebbe facilitare la lotta alla prostituzione minorile, calcolata nel 20% del totale, e la lotta alla tratta, le cui vittime pare si aggirino in ben 19-26 mila donne.

Oltretutto,  la tassazione conseguente al riconoscimento della professione porterebbe un non trascurabile beneficio alle entrate fiscali. La Serenissima Repubblica di Venezia con le tasse della moltitudine delle sue apprezzate e “benemerite  meretrici” ha armato una flotta e contribuito a finanziare una crociata. Anziché armare flotte o finanziare crociate si potrebbe creare un fondo per aiutare chi volesse cambiar vita e lavoro. E’ infatti soprattutto la mancanza di un lavoro dignitoso a spingere molte donne a scegliere la non encomiabile strada  del vendere sesso.

Si preferisce invece fare gli schizzinosi o le battute da goliardi, come accade con  troppi nostri politici, trasformandoci così tutti in complici di fatto dei troppi uomini simili a Riccardo Viti. Qualche anima bella ascesa al parlamento è arrivata al folclore moralistico di proporre di multare o processare i clienti delle “lucciole”.  Anime belle, che però ignorano come il Vaticano a suo tempo, considerando la prostituzione un “male necessario”, ne aveva classificato le sue addette in ben 14 categorie, mentre gli stessi cardinali della curia ne apprezzavano molto le prestazioni. Tant’è che le più costose si chiamavano “foemina curialis” perché se le potevano permettere solo i ricchi cardinali della curia.

Un censimento non esiste, ma le stime più prudenti indicano in almeno 70 mila le donne che in Italia esercitano la professione in modo non saltuario. Le stime del giro d’affari variano dai 2,2 ai  5,6 miliardi di euro l’anno, ma c’è chi non esclude arrivi alla ragguardevole cifra di  50-60 miliardi. Ciò significa che una tassazione del 20% porterebbe al fisco da un minimo di poco meno di  mezzo miliardo di euro fino alla enorme cifra di 12 miliardi. Basterebbero per comprare metà dei 90 aerei da guerra F35 ordinati dall’aeronautica militare oppure tutti se davvero il governo Renzi riuscirà a dimezzare il numero degli esemplari da acquistare.

Una quindicina di anni fa al Comune di Milano c’era chi progettava di istituire nel quartiere Isola in crisi di spopolamento un quartiere a luci rosse. Il progetto prevedeva perfino luoghi di culto per le diverse religioni, ma non se ne fece nulla. E quando a Napoli il sindaco Luigi De Magistris ha ventilato l’idea di creare quartieri a luci rosse l’arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, si è scagliato contro il sindaco.

Avanti dunque con l’irresponsabilità e l’ipocrisia moralista. Però alla prossima prostituta ammazzata per sfregio piantiamola di inveire contro i Riccardo Viti di turno. E piantiamola anche di riempirci la bocca parlando sdegnati di femminicidio. Continuiamo infatti a essere complici di fatto di entrambi.