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Usa, Corte Suprema. Diritti civili, una battaglia che non finisce mai

Licinio Germini |20 Settembre 2022 12:54

MONTGOMERY, STATI UNITI – La battaglia per i diritti civili in America, dove in certe parti del Paese accanto a quella a stelle e strisce sventola ancora la bandiera confederata, non finisce mai.

E anche una legge simbolo come il ‘Voting Rights Act’ del 1965, nata per proteggere il voto delle minoranze afroamericane negli stati del Sud, mai dimentichi della sconfitta subita dai nordisti, rischia di essere colpita dalla Corte Suprema in alcune delle sue norme-chiave.

A preoccupare e’ lo scetticismo espresso dai giudici costituzionali di nomina conservatrice che – pronunciandosi sul ricorso presentato dalla Contea di Shelby, in Alabama – forse tra gli stati più razzisti -hanno parlato di norme superate dalla storia e non piu’ giustificate.

Sollevando così l’immediata reazione di tutte le associazioni per i diritti civili e di quelle per la difesa delle minoranze, dai neri ai latinos, ora sul piede di guerra. Associazioni che a Washington continuano a manifestare davanti alla sede del massimo organo giurisdizionale, a pochi passi dalla sede del Congresso dove e’ stata appena inaugurata la statua di Rosa Parks, pioniera dei diritti degli afroamericani. Intanto – sempre in tema di diritti civili – proprio il Congresso, dopo tante traversie, ha comunque votato la legge contro la violenza sulle donne, estendendola per la prima volta anche ai gay e ai trasgender. Ma è stata una lotta a coltello tra democratici e repubblicani.

L’ amministrazione Obama ha deciso di chiedere alla Corte Suprema l’abolizione anche della ‘Proposition 8′, la legge della California che vieta le nozze gay. Ma il caso del voto delle minoranze tiene in apprensione milioni di cittadini americani. In discussione c’e’ soprattutto la ‘section 5’ del ‘Voting Rights Act’, quella che obbliga nove Stati e ad alcune municipalita’ del sud degli Usa – che hanno alle spalle una storia di razzismo – a chiedere un’autorizzazione a livello federale (o al Dipartimento di giustizia, o alla Corte del District of Columbia) per ogni modifica da apportare alle proprie leggi elettorali.

Ad avanzare dubbi sulla costituzionalità della norma sono stati i giudici Antonin Scalia e Anthony Kennedy, nominati da Ronald Reagan, e John Roberts, scelto da George W.Bush. Il ”Voting Rights Act”è il retaggio di un periodo di conflitti razziali che non esiste piu’, ha criticato Scalia, chiedendosi se alcuni stati dovranno per sempre convivere con l’eredita’ del passato. Roberts si e’ quindi chiesto provocatoriamente ”se le persone del Sud sono piu’ razziste di quelle del nord”, sottolineando come gli ultimi dati ufficiali parlino di un’altissima affluenza alle urne in Alabama, al contrario di quantio accade in uno Stato del Nord come il Massachusetts.

Anche il giudice Kennedy si e’ chiesto ”quanto ancora l’Alabama dovra’ vivere sotto la tutela del governo federale degli Stati Uniti”. Secca la replica dei giudici della Corte Suprema di estrazione liberale, che considerano la legge – compresa la discussa ‘section 5’, una garanzia tuttora valida contro la discriminazione razziale, che negli stati del sud non è mai stata completamente sradicata e che non di rado richiede l’impiego dei federali per rimettere le cose a posto.

”E’ sempre la solita vecchia malattia. Cercare di impedire il voto delle minoranze. Oggi va molto meglio, ma quella malattia e’ ancora qui”, ha commentato il consulente Stephen Breyer, nominato da Bill Clinton. Ma per il legale della Contea di Shelby ”i problemi che la legge sul voto doveva affrontare sono stati oramai risolti da tempo”, per questo certe norme non servono piu’.  E cioè a dire che gli afroamericani poso votare liberamente. Il che non è vero.

La National Association for the Advancement of Colored People (NAACP), la piu’ potente associazione di afroamericani, insorge: ”Il nostro diritto di voto non si tocca, e’ inalienabile. E’ un diritto costituzionale”. E promette battaglia contro chiunque mettera’ in pericolo una legge che e’ stata frutto di durissime, sanguinose e lunghe lotte. Come quella di Rosa Parks.

Anche il prestigioso Brennan Center for Justice della New York University sostiene che ”mantenere la ‘section 5′ e’ essenziale”, ed ha aggiunto:  ”Nonostante i progressi fatti dal 1965, le discriminazioni sul fronte del voto, nel senso di impedire agli afroamericani di votare, persistono in tuto il Sud, dove alle intimidazioni partecipa anche quel che rimane del Ku Klux Klan, che però, nonostate la caccia dei federali, è ancora vivo e vegeto con le sue croci infuocate”.

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