Pino Nicotri intervista il criminologo Carmelo Lavorino sul giallo di via Poma

di Pino Nicotri
Pubblicato il 24 Ottobre 2019 - 14:10| Aggiornato il 31 Marzo 2020 OLTRE 6 MESI FA
Pino Nicotri intervista il criminologo Carmelo Lavorino sul giallo di via Poma

La copertina del libro di Carmelo Lavorino sul giallo di via Poma

Pino Nicotri intervista il criminologo Carmelo Lavorino, considerato il massimo esperto del giallo di Via Poma (e di altri casi…). Ha scritto il suo quarto libro sulla vicenda intitolato “One. Via Poma. Inganno strutturale”, Edizioni Ponte Sisto. Il prof. Lavorino si è interessato di oltre 200 casi d’omicidio, fra cui i delitti del Mostro di Firenze, di Via Poma, del serial killer Donato Bilancia, di Cogne (vittima Samuele Lorenzi), di Arce (vittima Serena Mollicone), del piccolo Tommaso Onofri, di morti equivoche, di omicidi camuffati come suicidi, di cold cases, rapine e violenze sessuali.

Professore, come mai questo titolo “One. Via Poma. Inganno strutturale”?

“One perché l’uccisione di Simonetta Cesaroni è il caso italiano di omicidio singolo più interessante, coinvolgente e intrigante nell’universo dei delitti irrisolti: è il giallo dei gialli, è il top dei delitti irrisolti: è il Number One della serie.
Via Poma per il significato simbolico, eccezionale e di riferimento al celebre omicidio, celebre soltanto perché irrisolto. Via Poma è un caso storico, originale e praticamente “eterno”, anche se, per un breve periodo, è scivolato nel dimenticatoio per la legge del tempo che scorre e dell’affievolirsi dell’interesse mediatico.
Inganno strutturale è il leit motiv del libro, in quanto significa “L’induzione in errore degli inquirenti ottenuta tramite l’inserimento, all’interno della struttura dell’enigma e degli elementi che la compongono, di falsi indizi, di falsi elementi, di falsi indicatori del crimine”. Senza ombra di dubbio  in Via Poma si è verificato un inganno machiavellico per confondere i dati, le informazioni, le prove, le percezioni e gli elementi fondamentali dell’inchiesta. Inganno strutturale  che ha portato a tre risultati, di cui, i primi due voluti, il terzo forse sì forse no, dipende dall’identità del killer: 1) salvare la faccia, l’immagine e la riservatezza di alcuni; 2) tutelare alcune attività occulte e collaterali di qualcuno; 3) fare uscire dal mirino investigativo il vero colpevole e i suoi fiancheggiatori.
Il libro è un ulteriore contributo alla scienza dell’investigazione criminale ed alla ricerca della verità sull’omicidio di Simonetta Cesaroni, è uno spunto molto forte per discussioni e gruppi di studio”.

Perché si è dedicato a questo caso? Cosa l’ha attirata?

Mi sono interessato al caso inizialmente per una serie di motivi, quali l’interesse professionale con l’approccio investigativo e criminologico, poi come direttore del mensile Detective & Crime, successivamente come consulente dell’avvocato Raniero Valle, padre di Federico (imputato dell’omicidio e prosciolto nell’udienza preliminare. Da lì a seguire ho scritto libri, saggi ed articoli sul caso, perché ritenevo scandaloso per noi cultori, studiosi e/o specialisti dell’investigazione criminale che “i nostri inquirenti” potessero commettere errori marchiani a danno della Verità e della Giustizia. 

A proposito di errori, qual è secondo lei l’errore più clamoroso delle indagini?

È difficile sceglierne uno fra i tanti. Nel libro ne elenco una trentina, di cui una decina si contendono il primato. Diciamo che (1) ostinarsi nel non darmi ragione che l’assassino abbia usato la mano sinistra per uccidere Simonetta, (2) ostinarsi nel non volere ammettere che il sangue sul telefono sia di gruppo A e quindi dell’assassino, (3) lasciare alla portata di tutti reperti importantissimi quali il computer della vittima, il tagliacarte arma del delitto, il reggiseno e il corpetto della vittima, dissequestrare l’appartamento “scena del delitto” solo sei giorni dopo l’omicidio, (4) permettere la sparizione di reperti di Simonetta quali la cartellina e le scarpe, sono tutti errori c he gridano vendetta. Ma di errori ce ne sono a bizzeffe: li analizzo tutti nel libro.  

Perché si è ucciso il portiere Pietrino Vanacore?

Le ipotesi sono diverse: depressione, ansia, terrore di tornare nell’arena tribunalizia come il martire destinato al macello mediatico, oppure, molto più semplicemente, perché geloso custode di un terribile segreto che gli procurava rimorso. Vedremo!

Odore d’intervento dei “servizi” per “orientare” o bloccare le indagini?

Sicuramente, ne parlo a iosa nel mio libro. Del resto ci fu anche un’interrogazione parlamentare in tal senso. Comunque per ideare ed eseguire un INGANNO STRUTTURALE del genere non si può essere ingenui e/o pivellini, ecco perché parlo di “invisibile burattinaio” e di “manina manigolda”.

Prof, chi è l’assassino?

Un soggetto territoriale di Via Poma, zona intesa come condominio e/o come l’ufficio dove lavorava Simonetta. Un soggetto che usa abitualmente la mano sinistra, che si è potuto avvalere della collaborazione di una o più persone per l’opera di pulizia, che… e qui mi fermo: nelle 330 pagine e oltre del libro… spiego qualcosa di più.