Emanuela Orlandi, Fittipaldi e la nota spese segreta “rubata”. Avesse chiesto a un chimico…

di Pino Nicotri
Pubblicato il 26 Settembre 2017 - 06:07 OLTRE 6 MESI FA
Emanuela Orlandi (foto Ansa)

Emanuela Orlandi (foto Ansa)

ROMA – Sulla sua scia il delirio è arrivato perfino a sostenere con convinzione manicomiale, e dovizia di particolari, che Emanuela Orlandi 

“è stata rapita per poterle far partorire il clone di Gesù Cristo utilizzando il DNA della Sacra Sindone”.

Eppure per evitare questo e altri scempi – compreso l’isolamento di Pietro Orlandi, lasciato solo a crederci e perciò abbandonato di colpo dai giornalisti amiconi e perfino da sua sorella Natalina – sarebbe bastato che Emiliano Fittipaldi, prima di accettare  il “dossier del Vaticano sulle spese sostenute per l’allontanamento di Emanuela Orlandi”, ne avesse chiesto un paio di fogli dell’originale. Sottoponendoli a perizia avrebbe infatti potuto accertare che l’inchiostro per scrivere il documento è  stato utilizzato di sicuro dopo il 1997, anno in cui il “dossier” viene completato e chiuso.

Per rendere credibile l’anzianità di un testo battuto a macchina non basta l’eventuale utilizzo di una macchina da scrivere d’epoca e dei suoi nastri pure d’epoca, vale a dire, in questo caso, dei primi anni ’80 o precedenti, perché una perizia può rivelare da quanto tempo l’inchiostro dei nastri si trova sui fogli di carta esaminati. Il più grande falso del secolo scorso, basato anche quello su testi scritti, è stato certamente quello che riuscì a ingannare il prestigioso settimanale tedesco Stern, che nell’aprile del 1983 annunciò con clamore al mondo e poi li pubblicò  i “diari autografi di Hitler”. Tra le altre analisi, quella sull’inchiostro contribuì a dimostrare che si trattava di un clamoroso bidone.

Strano, molto strano, oltre che molto spiacevole, che un giornalista come Fittipaldi non abbia usato una tale precauzione e verifica. Non vogliamo minimamente pensare che non lo abbia fatto per poter provocare grande pubblicità al suo ultimo libro, “Gli Impostori”, che narra anche del “dossier Orlandi”. O che qualcuno abbia voluto favorire con il grande battage il varo del programma televisivo Scomparsi, affidato a partire da settembre da Sky Tv a Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela. Fratello ormai di professione, perché diventato famoso presenziando sempre a tutte le iniziative, massmediatiche o no, riguardanti il “mistero Orlandi”, e legittimando tutte le piste, tra loro le più diverse ma tutte purtroppo rivelatesi clamorosamente false.

Un annetto fa venni avvicinato da qualcuno che mi propose non so se lo stesso “dossier” o qualcosa di simile, ma sempre riguardante spese vaticane per Emanuela Orlandi dopo la scomparsa. Ammaestrato da almeno un tentativo di truffa sul mistero Orlandi, chiesi la consegna di qualche foglio per sottoporlo a perizia. La mia richiesta venne rifiutata e così capii subito che si trattava dell’ennesima furbata dei troppi brutti figuri e mascalzoni che pullulano in questa storia. Che ormai oltre a essere una pochade di qualità sempre più scadente è purtroppo anche una (altra) Caporetto del giornalismo italiano.

Che il “dossier” sia una volgare patacca lo ha dimostrato ad abundantiam in particolare Andrea Tornielli, vaticanista de La Stampa, con tre articoli uno più razionale e documentato dell’altro. Ne riportiamo i link perché vale la pena leggerli:

http://www.andreatornielli.it/?p=8710

http://www.lastampa.it/2017/09/22/vaticaninsider/ita/vaticano/il-falso-dossier-su-orlandi-punti-fermi-e-domande-OWbLgSGATMWq9Gglp7PXtL/pagina.html

Dopo i tre interventi di Tornielli non c’è altro da aggiungere, se non il fatto che il linguaggio usato è chiaramente più da questurino che da cardinale, motivo per cui è strano che possa essere stato preso sul serio. I mitomani e i drogati del mistero Orlandi però non demordono: il “dossier” sarà pure un “falso ridicolo”, come lo hanno definito nella Segreteria di Stato vaticana, però loro rilanciano gridando:

“Se non avevano nulla da nascondere, perché era conservato in una cassaforte del Vaticano?”.

Non demorde neppure Fittipaldi, che per tentare di salvare la faccia insiste a ritenere in buona fede chi lo ha bidonato. A nulla conta il fatto che a dire che era conservato in una cassaforte, per altro NON del Vaticano, è la stessa persona che ha bidonato Fittipaldi, persona alla quale quindi qualunque cosa affermi è assurdo credere. Persona che oltretutto fa parte del giro che le cronache giudiziarie hanno dimostrato essere molto poco raccomandabile, per non dire di molto peggio. Il giro, per la precisione, degli sgomitatori e armeggioni vaticani della signora Francesca Immacolata Chaouqui, non nuova a rivelare “segreti scottanti”, e di monsignor Lucio Vallejo Balda, anche lui rivelatore di “segreti scottanti”. Nonché entrambi, Chaouqui e Balda, passati per la galera e il tribunale vaticani con l’accusa di avere sottratto e passato a giornalisti, compreso Fittipaldi, documenti riservati della segreteria e dell’archivio di papa Francesco.

La platea e il loggione pretendono che comunque lo show, i colpi di scena e la suspence continuino…  Dopo questi primi 34 anni, altri 34 a base di altre clamorose panzane adrenaliniche.

ale la pena fare alcune osservazioni. Il “dossier” insiste su ricoveri e  visite ginecologiche di Emanuela nella clinica Saint Mary di Londra, diretta dalla famosa ginecologa Lesley Regan, autrice del libro “La tua gravidanza di setimana in settimana. Dal concepimento alla nascita”. Chi ha voluto inserire nel “dossier” la tappa ginecologica londinese lo ha fatto forse perché sapeva che Emanuela prima di sparire aveva avuto occasione di visitare Londra o, più probabilmente, lo ha fatto per raccogliere e rilanciare surrettiziamente certi orribili pettegolezzi vaticani, di uno dei quali a suo tempo il cardinale  Silvio Oddi parlò nella famiglia di sua sorella. Pettegolezzi che volevano Emanuela in rapporti intimi con un altro cardinale o addirittura con lo stesso papa Wojtyla secondo un’asserita informativa di un collaboratore dell’allora SISMI (i servizi segreti militari).Grazie all’insistenza del “dossier” dato a Fittipaldi c’è chi è arrivato a scrivere senza arrossire o essere ricoverato alla neuro che la dottoressa Regan
“astro nascente della ginecologia genetica inglese [….] sembrerebbe la persona giusta per clonare il DNA di Gesù Cristo ed Emanuela Orlandi ha l’età [negli anni ’90 citati dal dossier, ndr] e lo stato di salute giusti per diventarne la gestante”.

E’ comunque curioso che Emanuela venga piazzata proprio a Londra, ma in una clinica per malattie mentali dove era stata effettivamente curata una omonima, dalle “rivelazioni  del supertestimone” Luigi Gastrini. Si tratta del falso “ex 007 nome in codice Lupo Solitario” a suo tempo condannato per le sue panzane e millanterie.

Come che sia, il “dossier” di Fittipaldi ha raccolto gloria,  applausi ed eccitazione  spasmodica solo nel classico ed effimero espace d’un matin, poi sono subentrati subito i fischi e il torpore. Non ha avuto la fortuna di altre patacche. Non la fortuna delle “rivelazioni dell’ex 007 Lupo Solitario” e tanto meno la fortuna ultradecennale della telefonata “anonima” a “Chi l’ha visto?” lanciata ai primi di un altro settembre, quello del 2005, per riesumare la vecchia storia,  archiviata sette anni prima dal magistrato Andrea De Gasperis perché priva di importanza e irregolarità, della tomba di Renato De Pedis nei sotterranei sconsacrati della basilica di S.  Apollinare, e mettersi così sulla scia dell’incedibile successo del romanzo Romanzo criminale. Che ruotava appunto sulla figura di De Pedis sia pure indicato con un altro nome.

Il “dossier” di Fittipaldi non ha avuto neppure la fortuna durata qualche anno delle “rivelazioni” della “supertestimone” Sabrina Minardi. Per rendere credibili le sue ciarle su De Pedis “autore del rapimento  di Emanuela” e poterle usare per fare un po’ di soldi scrivendo un paio di libri e fare anche un film – “La verità è in cielo”, del regista Roberto Faenza – la signora Minardi è stata spacciata per “l’amante decennale di De Pedis” quando le prove e le stesse ammissioni della “supertestimone” dimostrano che si sono frequentati non più di due anni. E De Pedis, morto incensurato e ucciso per avere tagliato i ponti con le vecchie amicizie più o meno malavitose e poter metter su una famiglia normale, è stato spacciato come il capo della Banda della Magliana e della “sua componente più pericolsa, quella dei testaccini”, così chiamati perché abitavano nel quartiere romano del Testaccio, alla faccia dei vari processi che hanno concluso che De Pedis, certo non uno stinco di santo, non era neppure un semplice membro della ormai mitica e mitologica banda.

Il “dossier” rifilato a Fittipaldi non ha avuto neppure la  breve fortuna del “flauto di Emanuela”, portato in dono a “Chi l’ha visto?” dal quanto meno bizzarro fotografo romano Marco Fassoni Accetti e cestinato dalle perizie e dai magistrati. “L’esplosivo dossier” rifilato a Fittipaldi non ha avuto fortuna, ma in compenso è riuscito a rompere il fronte familiare degli Orlandi lasciando Pietro solo a credere anche a questo ennesimo bidone. Pietro è stato abbandonato perfino da giornalisti molto informati su tutte le evoluzioni del caso, come  Fabrizio Peronaci, col quale ha scritto il libro “Mia sorella Emanuela. Voglio tutta la verità”, e da chi – come il clan del regista Faenza – ha puntato tutte le carte sulla colpevolezza della Banda della Magliana e del suo asserito grande capo De Pedis, prezzemolo di  ogni brutta minestra.

Pietro è stato buttato a mare senza tanti complimenti perfino dal programma di Raitre “Chi l’ha visto?”. La sua conduttrice, Federica Sciarelli, per questa nuova storiaccia non l’ha neppure consultato, e ha preferito dare invece spazio e risalto allo scetticismo di sua sorella Natalina Orlandi e, per fare buon peso, di suo marito.

La creduloneria di Pietro Orlandi e dei suoi fan è piuttosto strana. Quando le notizie non piacciono, perché fanno piazza pulita delle ipotesi fantomatiche e inducono a pensare al purtroppo solito caso di abuso da parte di persona ben nota alla vittima e magari anche alla sua famiglia, allora vengono respinte in blocco sia da Pietro che dai suoi fan senza neppure mezza verifica. Vedi per esempio la faccenda di via Monte del Gallo, dove secondo una mia fonte vaticana, che dice di averlo saputo da due agenti dell’allora SISDE (i servizi segreti civili), Emanuela sarebbe morta la sera stessa della scomparsa. Quando invece le “notizie” e i “supertestimoni” raccontano storie inverosimili, da romanzone complottistico spionistico politico malavitoso planetario, ecc., queste vengono immediatamente accettate e definite vere, anzi verissime.

Questa volta però Pietro ha esagerato. Ed è rimasto solo. Solo con gli Scomparsi di Sky. Dopo 34 anni di piste surreali e di fandonie, costate oltretutto un sacco di quattrini delle nostre tasse spesi per le infinite indagini,  Pietro Orlandi dovrebbe informarsi almeno su cosa sia il “rasoio di Occam”. E arrendersi alla logica oltre che all’evidenza. E alla decenza.