“Solo per donne”, racconti: 1. Fine di un amore

Pubblicato il 5 Gennaio 2010 - 18:18 OLTRE 6 MESI FA

abbraccioIronia sudamericana

Una vedova piangeva inconsolabile sulla tomba del marito: “Ahi! Arturito! Ahi! Quanto mi manchi!”

Erano già passati due mesi durante i quali non un giorno aveva smesso di compiangere il suo defunto consorte: “Ahi! Arturito! Ahi! Quanto mi manchi! Come posso vivere senza di te?”

La vedova andò a trovare una sua cugina, che abitava in un’altra regione del Paese, per distrarsi dal pianto incessante che stava consumando i suoi occhi ed anche il suo ancora giovane e promettente corpo: il viaggio non fu inutile.

La vedova passò una notte che la distrasse tantissimo e l’avrebbe continuata a distrarre per tutto il tempo a venire.

La mattina successiva lei aprì il balcone della stanza, si girò a guardare l’uomo che dormiva nel suo letto, si girò di nuovo verso il vuoto e: “Arturito! Arturito! Arturitooooo!! Arturito, vaffanculo!”

Torniamo a noi.

Lui l’aveva liquidata così, con due frasi di senso compiuto, un bestemmione e due o tre invettive con le quali aveva tentato di scaricare su di lei ogni colpa, finanche quella del diluvio universale: per telefono.

“E adesso, con chi scopo?” – Fu il primo pensiero che le attraversò la mente.

Non si sa se fu la prospettiva di un immediato futuro senza sesso, o forse l’inconscia preoccupazione di ingrassare venendole meno quel certo esercizio fisico, o chissà cos’altro, ma le venne subitaneamente meno l’appetito e perse il gusto di mangiare: lei che era notoriamente una buona forchetta pur non portando nel suo fisico i segni della passione per il cibo per la motivazione di cui sopra.

In ogni modo, il suo raziocinio le suggeriva che doveva, volente o nolente, alimentarsi.

Così passò quindici giorni in compagnia di una fettina serale e nient’altro.

Pallido ricordo di ben altra carne, che, più che fettina, era un bel bisteccone succulento con le giuste quantità di grasso e buone parti muscolose, una di queste ben consistente, appropriata, e molto adatta ad i suoi bisogni.

Andava a rifornirsi nella migliore macelleria della città, dove il macellaio la trattava con molta gentilezza ed entusiasmo: gentilezza ed entusiasmo che le venivano pesati sulla bilancia insieme al seppur nobile taglio.

Stava pensando seriamente di prendere un mutuo per sostenere il ritmo del pregiato nutrimento, anche perché non sapeva per quanto tempo avrebbe dovuto consolarsi con quel succedaneo.

Il suo corpo si stava prosciugando giorno dopo giorno, mentre musica e parole de “La traviata” le sembravano stranamente calzanti.

Anche “La signora delle Camelie” ogni tanto le risuonava nella testa e, seppure con qualche variazione sul tema, pensava che lei, ormai, sarebbe morta, sicuramente di consunzione.

Lei piangeva e piangeva. Pianse talmente tanto che le lacrime le finirono.

Per evitare di farsi seccare gli occhi che volevano disperatamente sfogarsi con quell’umore, era diventata cliente fissa di una farmacia, dove, settimanalmente, andava a fare scorta di lacrime artificiali pur non portando lenti a contatto né soffrisse di congiuntiviti: il farmacista la guardava ormai con sospetto, pensando che facesse mercato nero con quel farmaco, rivendendolo al doppio del suo prezzo ad immigrati senza permesso di soggiorno.

Il cuore le batteva spesso velocemente, ma non per sforzo fisico o piacevoli emozioni.

Divenne così paziente fissa di un cardiologo.

Per un’altra parte del suo corpo, anch’essa molto sofferente, per motivi di decoro non si era rivolta ad un ginecologo: con molto rimpianto, per la verità, perché l’ultima volta che gli aveva portato la sua “Cosa” in revisione egli aveva ben dimostrato che le avrebbe saputo far passare la malinconia.

I tre giovani e muscolosi macellai l’accoglievano con sempre maggiore entusiasmo: il conto finale non aumentò in proporzione.

“Cosa le do’?”

A lei scappò una risata che contagiò pericolosamente uno dei macellai.

“Mi dia il suo miglior pezzo” – Riuscì a dire lei, mordendosi le labbra per la sua involontaria espressione boccaccesca.

“Ben volentieri! Peccato che quello che ho qui sul banco non sia abbastanza per lei. Magari la prossima volta lo troverà!”- Rispose lui sorridendo sotto i baffi e tenendo fissi i suoi occhi azzurri sulla carne nel bancone frigo.

Lei, per riuscire a mantenersi posata, dovette pensare alle ultime catastrofi naturali del pianeta: pensò anche al diluvio universale, di cui l’uomo del suo cuore l’aveva accusata ingiustamente di essere la causa, per cui divenne totalmente seria, ed anche triste.

Con sorriso mesto ed i lucciconi agli occhi, che si curò di coprire subito con gli occhiali da sole anche se il sole non glieli avrebbe fatti strizzare sia per l’ora tarda, sia perché era in un locale al chiuso dove la sola luce che c’era non veniva neanche dai terribili tubi al neon, disse: “Va bene, vuol dire che sarà per la prossima volta, per questa volta mi accontento di ciò che è sul banco” ,- mentre il macellaio cercava inutilmente di scrutare l’espressione del suo sguardo dietro gli occhiali scuri.

“Arrivederci!” – Le disse il macellaio guardandola fino all’uscita.

Lei uscì ricambiando il saluto, curandosi di non voltarsi fino a che fosse rimasta nel campo visivo di lui, il cui sguardo si sentì sulla nuca fino alla fine della strada.

Sentì che gli occhi le dolevano ed ebbe sollievo quando le lacrime ricominciarono a sgorgarne irrefrenabili, grazie anche all’aiuto di quel farmaco che non si sarebbe mai pensato di impiegare per lenire dolori ad organi visivi causati da dolori di cuore.

A proposito di cuore.

“Dottore, mi scusi. Esiste il crepacuore? E’ una malattia vera e propria? Se ne può morire?” – Chiese lei in preda all’ansia paventando la temuta risposta.

“Legge romanzi d’amore?”- Le chiese il cardiologo ironico.

“No! Li detesto! – Rispose lei mentre le lacrime si apprestavano ad uscire dai suoi occhi per un’ottima imitazione delle cascate di Iguazù.

Lui la scrutò e le chiese: “ Cosa si sente?”

“Cosa mi sento? Mi sento male, ecco cosa mi sento! E mi sento così perché non lo vedo e non lo sento!” – Avrebbe voluto rispondergli.

Ed invece: “ Ad un certo punto, senza nessuna ragione, il cuore mi comincia a battere velocemente ed il respiro mi si fa più breve”.

“Pensa forse a qualcosa che la disturba?”- Proseguì lui.

“No, no! Mi capita nei momenti più impensati, anzi, è come se succedesse quando sono maggiormente calma!”

“Fa un lavoro stressante? Magari un periodo molto intenso?”

“Sì, in effetti, è un periodo d’intenso lavoro, ma leggermente più del solito, non tanto di più”.

Il medico continuava a guardarla, in ascolto.

“L’altra sera ho passato un brutto quarto d’ora, mi sono sentita tanto male che ho persino scritto un paio di biglietti come ultimo commiato per le persone a me care” – Disse lei tra il serio ed il faceto.

Ed il dottore, per nulla scomposto: “Mi spieghi meglio cosa le è successo e precisamente quando”.

“E’ successo due sere fa, per l’esattezza, verso le 23.30. Stavo davanti al computer, leggevo delle cose che ogni tanto mi diletto a scrivere, niente di brutto, anzi. Ho sentito prima come un vuoto nel petto, poi come se una mano mi stringesse il cuore. L’udito mi si è attutito leggermente, i suoni mi arrivavano come ovattati. Il cuore ha cominciato a battere velocemente, ma non forte, era come se nel petto avessi mille farfalle. Le tempie mi facevano male e non riuscivo a respirare bene, sentivo il sangue che mi pulsava nel collo. Mi sono alzata dalla sedia per guardarmi allo specchio: la pelle del seno si muoveva al ritmo del mio cuore. Le vene del collo erano gonfie: tanto gonfie che per un attimo pensai di stare per diventare la protagonista di una nuova metamorfosi kafkiana, con la differenza che la mutazione sarebbe stata in rospo invece che in scarafaggio! E la metamorfosi era quasi avvenuta nella notte, infatti, la mattina dopo mi alzai con qualcosa di simile ad un doppio mento duro, simile ad un gozzo, che però sparì alla fine della giornata”.

“E’ sposata, fidanzata?” – Lui le chiese a bruciapelo.

Tutte le dighe e le cascate del mondo si erano date appuntamento segreto nei suoi occhi quel giorno e a quell’ora senza che lei lo sapesse.

Il dottore si grattò la testa e pensò: “Forse questa qui avrebbe fatto bene a passare prima dal neurologo, tra un po’ mi allaga la scrivania!”

La lasciò sfogare per un po’, poi le disse: “Visto che Lei pare ne abbia ancora per molto, Le dispiace se la faccio accomodare nella stanza della segretaria che non c’è mentre visito un altro paziente? Prima di visitarla sarebbe preferibile che si calmasse un po’”.

“Sono d’accordo” -Disse lei, e subito dopo: “Non avrebbe, che so, una bacinella, un secchio, qualcosa del genere?”

“Le viene forse da vomitare?”

“No, è che se le lacrime continuano ad uscire per altri cinque minuti, sarò costretta ad asciugare il pavimento!” – Rispose tra il riso e le lacrime.

Ed il medico, di rimando: “ Ha un ottimo senso dello humor. Positivo, molto positivo! E’ il primo passo per la riuscita di qualsiasi terapia!”

“Bene! Si sbottoni il vestito!”

“Dottore, mi dica prima una cosa!”

“Cosa?”- Fece lui sorpreso.

“Le fanno impressione le prugne secche?”

“No, anzi mi piacciono”.

“Meno male!”

“Perché?” – Fece lui con lo stetoscopio a mezz’aria.

Perché in una donna della mia età non ci si aspetta di ritrovargliele attaccate al petto al posto del seno: se già le

 

piacciono vuol dire che quanto meno non mi dovrò preoccupare di soccorrerla mentre vomita!

“Se continua così, stasera La invito a cena”- Disse lui divertito.

“Aspetti di farmi la visita completa, prima di parlare”- Ribatté lei.

“Va bene”- Replicò lui.

“Faccia un bel respiro”

Lei ci provò.

“Un respiro, ho detto, non un sospiro!”

“Mi scusi, è che mi è passato per la mente un ricordo!”

“In questo momento non ricordi, non pianga: soprattutto non sospiri ma respiri”.

Completò l’auscultazione.

“Adesso facciamo un bell’elettrocardiogramma. Si spogli”.

“Dottore, lei è masochista?”

Lui, ormai preso dall’ironia di lei: “Non credo, fino a prova contraria”.

“Bene, – disse lei – oggi è venuto il giorno di quella prova”.

E lui: “Lei è forse in cerca di complimenti?”

“No, mi sembra che invece complimenti li faccia lei, dato che ancora mi sta visitando”.

“Beh, veramente noi siamo abituati a tutto” – Disse lui volutamente malizioso.

Cominciò ad attaccarle gli elettrodi sui diversi punti del corpo, scusandosi che non ci fosse l’infermiera a farlo perché ella aveva avuto un’improvvisa emergenza.

A lei ciò non dispiacque.

Le disse di rilassarsi il più possibile e cominciò con l’esame.

Osservò il tracciato con attenzione.

“Qui non ci sono tracce di danni, per Sua fortuna. In base a quello che mi ha raccontato pensavo che ne avesse subito qualcuno. Tuttavia, per vedere chiaro su quella faccenda delle “farfalle” nel cuore che mi ha detto, ci sarebbe da applicarle un apparecchio da tenere tutto il giorno per monitorare il muscolo cardiaco nelle 24 ore. Che ne pensa?”

“Va bene, facciamo come Lei dice. Non vorrei morire ancora. Devo finire di scrivere un racconto che vorrei vedere pubblicato prima!”

“Faremo il possibile”- Disse lui con un sorriso rassicurante.

Lei gli pagò la parcella e lo salutò dopo aver preso appuntamento per l’applicazione e la spiegazione dell’apparecchio che doveva monitorarle il cuore.

“Scusi, – le disse lui accompagnandola alla porta – non mi fraintenda, ma verrebbe a mangiare qualcosa con me?”

Lei divenne improvvisamente seria e gli chiese: “E Lei ha abbastanza fazzoletti?”

 

Di fazzoletti non ne ebbe bisogno e non ebbe neanche paura di morire sotto lo sforzo fisico perché, tanto, c’era il cardiologo.

Le visite di lei allo studio di lui finirono, ma proseguirono a casa sua, per ragioni che, anche se non strettamente mediche, ebbero molto a che fare con la salute fisica e mentale.

Della sua salute fisica si occupò molto anche il macellaio che la volta successiva che la rivide nel suo negozio le offrì, e lei accettò, ripetutamente ed in più occasioni, il suo pezzo migliore, facendola rifiorire nel corpo e nella mente e facendo sì che le prugne secche, che pure erano piaciute al cardiologo, diventassero un bel paio di pagnotte rotonde che al cardiologo piacquero ancora di più.

Anche il bello e riccioluto farmacista si offrì di trovarle un rimedio che non la facesse più piangere.

Il rimedio fu una preparazione galenica basata sull’antica ricetta popolare “chiodo scaccia chiodo” mutata dallo stesso farmacista in quella, ben più efficace, del “martello schiaccia chiodo”.

Sarà stato lo stress da superlavoro, ma si rese d’obbligo ciò che lei, all’inizio di questa storia, aveva voluto evitare.

Andò dal ginecologo che si occupò della sua “Cosa” così come si conveniva ad una Cosa come la sua e le tolse le ultime e sparute ombre di malinconia.

Era curata in tutte le sue parti: il cuore, il corpo, la Cosa.

Non le restava da risolvere che la questione sentimentale.

“Ma sì!- Si disse- Chi meglio del mio cardiologo, che mi ha amato al tempo delle prugne secche, può occuparsene? Sono sempre questioni di cuore, no?”

Arturitooo!