Cento punti di spread guadagnati, il mercato “fissa” le dimissioni di Berlusconi

di Lucio Fero
Pubblicato il 29 Luglio 2011 - 13:02| Aggiornato il 30 Luglio 2011 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Cento punti base: questo valgono le dimissioni di Silvio Berlusconi da presidente del Consiglio. Cento punti sullo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi, ma non a salire: a scendere! Di solito quando un paese vede calare la fiducia dei mercati e dei risparmiatori sui sui titoli di debito le dimissioni del capo del governo aggravano la situazione: il premier si dimette e i titoli di quello Stato diventano meno affidabili, quindi lo spread sale. Spread: la differenza di rischio rispetto al parametro da tutti assunto, i Bund tedeschi decennali considerati i titoli meno a rischio emessi dal paese e dall’economia a minor rischio. Oggi lo spread tra i Btp italiani a dieci anni e gli omologhi tedeschi oscilla intorno a 300 punti, più sopra che sotto. Appena pochi mesi fa era costantemente e sensibilmente sotto i 200 punti base. Gli operatori finanziari, quelli che vendono e comprano ogni giorno titoli e obbligazioni, praticamente tutti, praticamente senza eccezione, stimano e calcolano che a quota 200 il Btp italiano potrebbe tornare in un colpo. E quel colpo si chiama dimissioni di Berlusconi. Non lo scrivono in nessuna tabella, non compare in nessun indice bancario o di Borsa, ma è questa la quotazione stimata: cento punti base di sollievo per il debito italiano se Berlusconi se ne va. E i mercati finanziari la danno come una notizia, non un’opinione. Per loro la “discontinuità” di cui parla l’appello-manifesto di Confindustria, sindacati, banche, commercianti, artigiani, agricoltori è questo e non altro: quei cento punti e come si incassano. Per loro la mossa di “sopravvivenza” di cui ha parlato Giorgio Napolitano ha questa forma e questa sostanza: dimissioni e si ricomincia da quota 200, dalla “normalità” dei mercati.

Normalità che non vuol dire salute. L’Italia ha problemi più grandi e più generali di Berlusconi premier. Bassa produttività, sovra costi di sistema, fiscalità oppressiva e pessimamente distribuita, spesa pubblica eccessiva e squilibrata, mercato del lavoro in parte troppo protetto e per i giovani al confine della condizione depressivo-schiavile, quantità mostruosa del debito pubblico. Tutto questo Berlusconi lo ha trovato già ai tempi del suo primo governo. Con tutto questo Berlusconi ha convissuto e nulla ha modificato. Ma questa è responsabilità che mai i mercati direttamente addebitano ad un premier. Lo “spread Berlusconi”, l’aggravante Berlusconi i mercati hanno cominciato a metterla in carico e in conto quando hanno misurato che altri due anni di governo Berlusconi riducono sensibilmente la credibilità di una tenuta finanziaria a medio-lungo termine. Hanno visto un premier contrario e diffidente rispetto alla manovra di aggiustamento di bilancio, un premier che fa sapere ai ministri, al paese, al Parlamento che, fosse per lui, la manovra non si faceva. Hanno sentito un premier che vagheggia di assumere l’interim all’economia se Giulio Tremonti salta. Hanno visto l’Italia giocarsi sui mercati internazionali la sua “good reputation” a causa della natura della sua politica. E hanno fatto i conti: cento punti base. Se Berlusconi se ne va l’Italia ricomincia dai suoi guai e dai suoi vizi, tanti i primi, insostenibili i secondi. Via Berlusconi, restano tutti. Ma via Berlusconi va via il sovrappeso, il sovraccosto, il sovrapprezzo di una credibilità azzerata. Lo dicono i mercati, non è un’opinione, è una valutazione, un fixing. Chi non ci crede vada a domandare al suo consulente di banca, al curatore dei suoi risparmi, al gestore di fondi pensione. E, se avesse modo, potrebbe domandare all’estero: caso quasi unico al mondo se Berlusconi se ne va il resto del mondo almeno per un po’ smette di “vendere italiano”. Alla sola condizione di quelle dimissioni, qualunque governo venga dopo o chiunque lo sostituisca: destra, sinistra o centro. I mercati non fanno politica, fanno i conti.