Se hanno dato il Premio Nobel a Fo, perché non a Dylan (o D’Annunzio, Pasolini, Pavese…)

di Sergio Carli
Pubblicato il 15 Ottobre 2016 - 06:46 OLTRE 6 MESI FA
Se hanno dato il Premio Nobel a Fo, perché non a Dylan (o D'Annunzio, Pasolini, Pavese...)

Premio Nobel, se lo hanno dato a Fo, perché non a Dylan (o D’Annunzio, Pasolini, Pavese…). La colomba cover su Youtube di Blowin’ in the wind, colonna sonora del ’68 americano

Premio Nobel a Bob Dylan, perché no? Lo hanno dato a Quasimodo e a Dario Fo, perché non dovevano darlo al poeta di una generazione e di una stagione tra le più belle del ‘900?

Mettete a confronto i poeti italiani che hanno ricevuto il Premio Nobel: Giosuè Carducci, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale.

Montale è stato forse fra i poeti italiani insigniti del Premio Nobel il più consono al riconoscimento:

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Quasimodo, a suo tempo, era il 1959, dissero che aveva ricevuto il premio per ragioni politiche (era diventato comunista giusto in tempo, nel 1945, dopo un periodo fascista e uno agnostico).

L’avete mai letto, prima di scrivere fanfaluche? Dei suoi versi i più memorabili sono quelli di

Ed è subito sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera

subito presi di mira dallo humour crudele di Gino Patroni

Mensa popolare

Una zuppa di verdura

ed è subito pera

O avete mai letto bene Carducci, quei pochi che a scuola ancora studiano italiano?

      L’albero a cui tendevi
      La pargoletta mano,
      Il verde melograno
      Da’ bei vermigli fiori
      Nel muto orto solingo
      Rinverdì tutto or ora,
      E giugno lo ristora
      Di luce e di calor.
      Tu fior de la mia pianta
      Percossa e inaridita,
      Tu de l’inutil vita
      Estremo unico fior,
      Sei ne la terra fredda,
      Sei ne la terra negra;
      Né il sol piú ti rallegra
              Né ti risveglia amor.
    Mettetelo a confronto con l’inno di una generazione, Blowin’ in the wind:
How many roads must a man walk down
Before you call him a man?
How many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
Yes, and how many times must the cannon balls fly
Before they’re forever banned?
The answer, my friend, is blowin’ in the wind
The answer is blowin’ in the wind
Yes, and how many years can a mountain exist
Before it’s washed to the sea?
Yes, and how many years can some people exist
Before they’re allowed to be free?
Yes, and how many times can a man turn his head
And pretend that he just doesn’t see?
The answer, my friend, is blowin’ in the wind
The answer is blowin’ in the wind
Yes, and

 Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura,

termine fisso d’etterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura

nobilitasti sì, che ‘l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore,

per lo cui caldo ne l’etterna pace

così è germinato questo fiore.

My mistress’ eyes are nothing like the sun;
Coral is far more red, than her lips red:
If snow be white, why then her breasts are dun;
If hairs be wires, black wires grow on her head.
I have seen roses damasked, red and white,
But no such roses see I in her cheeks;
And in some perfumes is there more delight
Than in the breath that from my mistress reeks.
I love to hear her speak, yet well I know
That music hath a far more pleasing sound:
I grant I never saw a goddess go,
My mistress, when she walks, treads on the ground:
And yet by heaven, I think my love as rare,
As any she belied with false compare.
Forse era ver, ma non però credibile, | a chi del senso suo fosse signore; | ma parve facilmente a lui possibile, | ch’era perduto in via più grave errore. | Quel che l’uom vede, Amor gli fa invisibile, | e l’invisibil fa vedere Amore. | Questo creduto fu; che ‘l miser suole | dar facile credenza a quel che vuole.
I tre grandi morirono prima della istituzione del Premio Nobel, ma D’Annunzio, Pavese, Pasolini, per citare tre moderni meglio di Carducci, Quasimodo e Dario Fo avrebbero giustificato il premio con più ragioni dei premiati.
Nella cala tranquilla
scintilla,
intesto di scaglia
come l’antica
lorica
del catafratto,
il Mare.
Sembra trascolorare.
S’argenta? s’oscura?
A un tratto
come colpo dismaglia
l’arme, la forza
del vento l’intacca.
Non dura.
Nasce l’onda fiacca,
súbito s’ammorza.
Il vento rinforza.
Altra onda nasce,
si perde,
come agnello che pasce
pel verde:
un fiocco di spuma
che balza!
Ma il vento riviene,
rincalza, ridonda.
Altra onda s’alza,
nel suo nascimento
più lene
che ventre virginale!
Palpita, sale,
si gonfia, s’incurva,
s’alluma, propende.
Il dorso ampio splende
come cristallo;
la cima leggiera
s’aruffa
come criniera
nivea di cavallo.
Il vento la scavezza.
L’onda si spezza,
precipita nel cavo
del solco sonora;
spumeggia, biancheggia,
s’infiora, odora,
travolge la cuora,
trae l’alga e l’ulva;
s’allunga,
rotola, galoppa;
intoppa
in altra cui ‘l vento
diè tempra diversa;
l’avversa,
l’assalta, la sormonta,
vi si mesce, s’accresce.
o Cesare Pavese (ascoltate qui la declamazione di Vittorio Gassman)
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Vicina agli occhi e ai capelli sciolti
sopra la fronte, tu piccola luce,
distratta arrossi  le mie carte.
Adolescente ardevo  fino a notte
col tuo smunto chiarore , ed era strano
udire il vento e gl’isolati grilli.
Allora, nelle stanze smemorati
dormivano i parenti, e mio fratello
oltre un sottile muro era disteso.
Ora dove egli sia tu, rossa luce,
non dici, eppure illumini; e sospira
per le campagne inanimate il grillo;
e mia madre si pettina allo specchio ,
usanza antica come la tua luce,
pensando a quel suo figlio senza vita.
Non tormentatevi con la poetica, non siete tagliati, non siete Benedetto Croce. Godetevi Blowin’ in the wind cantata da Bob Dylan e meditate.