Incentivi scandalosi, sprechi, poca energia prodotta: il business dell’eolico raccontato da Nino Cirillo sul Messaggero

Pubblicato il 27 Dicembre 2010 - 07:18 OLTRE 6 MESI FA
Energia eolica

Energia eolica

Il “business dell’eolico” è venuto a galla grazie all’inchiesta sulla cosiddetta P3 e agli interessi di Flavio Carboni in Sardegna, ma, a quanto pare, non è quella l’unica regione in cui si fanno affari in questo settore. Quanto costa lo sviluppo dell’eolico in Italia? Quanta è l’energia effettivamente prodotta? Il gioco vale la candela?

A tutte queste domande ha cercato una risposta Nino Cirillo, con un’inchiesta pubblicata a puntate sul Messaggero. Cirillo si è occupato in particolare degli impianti costruiti in Molise. Nel primo articolo Cirillo ha parlato “di incentivi scandalosi per quantità e durata”, di “corsa forsennata all’ultima pala che qualcosa frutterà anche se per ora non gira”, di “sviluppatori che stravolgono e offendono la quieta esistenza dei piccoli comuni giocando a nascondino con le royalties”, di “sprechi”, di “mafie in agguato”, di “bollette ogni giorno più care”.

Ecco nel dettaglio la sua analisi: “Le pale eoliche – il 98 per cento al Sud, e questo la dice lunga – producono 4.849 megawatt, tanto da porre l’Italia al terzo posto in Europa, ben distanziata da Germania (25.800) e Spagna (19.100) e inseguita da vicino da Francia (4.500) e Gran Bretagna (4.000). Bene, l’installazione e la manutenzione di una pala media in Danimarca – lo stato che ha investito più sull’eolico – in 15 anni di vita cosa un milione, mentre da noi, in Sicilia, viene il quadruplo. E sono pale che girano davvero poco: 1.880 ore sempre in Danimarca, 2.000 in Svizzera, 2.046 in Spagna. 2.066 in Olanda, 2.083 in Grecia, 2.233 in Portogallo e da noi soltanto 1.466 ore l’anno. Ma perché? «Una terra di vento e di sole – titolò il Financial Times qualche mese fa la sua inchiesta sull’energia eolica in Italia – ma senza regole adeguate». Nessuno se ne accorse, o forse fecero tutti finta di non accorgersene”.

Secondo Cirillo le cifre “sono sconvolgenti”: “Ci sono domande di connessione alla rete – oggi, nel 2010, in Italia – pari a 88.171 megawatt. L’Anev, l’Agenzia che raggruppa le aziende del settore dell’Energia del vento- stima che entro il 2020 – cioè fra dieci anni – la produzione potrà raggiunge al massimo 16mila megawatt. Che senso ha quindi – se non quello di puntare a una spaventosa speculazione – presentare domande per una quantità di energia cinque volte superiore? Il mercato dell’eolico è anche e soprattutto un mercato di carta, il mercato dei famigerati “certificati verdi”, che possono essere comprati dalle grandi aziende al piccolo produttore se queste grandi aziende non hanno prodotto, di loro, la percentuale di energia rinnovabile prevista dalla legge”.