Cassazione: il patto con mafia e camorra lede la libertà d’impresa

Pubblicato il 22 Febbraio 2011 - 15:19 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Alterano il meccanismo della libera concorrenza, e dunque le leggi del mercato, gli imprenditori che fanno affari grazie ai loro accordi con i clan camorristici e mafiosi. Anche nel caso in cui per imporre un regime vantaggioso di monopolio, in un determinato settore economico, ”non è stato necessario il ricorso ad alcuna forma di violenza fisica o di minaccia esplicita”. Lo sottolinea la Cassazione annullando la scarcerazione di due imprenditori del settore trasporto che si giovavano del patto mafia-camorra.

In particolare la Cassazione – con la sentenza 6462 depositata lunedì – ha accolto il reclamo con il quale la Procura del tribunale di Napoli si lamentava della decisione con la quale il tribunale del riesame di Napoli, lo scorso 6 giugno, aveva rimesso ”immediatamente” in libertà Antonio S. e Massimo S., che avevano imposto in determinati mercati ortofrutticoli della Sicilia l’utilizzo della società di trasporti ‘Paganese’. La ditta era gestita per metà da imprenditori vicini al clan dei Casalesi e, per la tratta verso la Sicilia dagli imprenditori Antonio e Massimo S.

In questo modo il trasporto avveniva in regime di monopolio ”da e per i mercati ortofrutticoli di Fondi, Aversa, Parete Trentola, Ducenta e Giugliano e da questi mercati verso il sud Italia, ed in particolare verso i mercati siciliani di Palermo, Catania, Vittoria, Gela e Marsala”. Il tribunale del riesame aveva scarcerato i due fratelli sostenendo che la libertà di impresa non si poteva considerare turbata ”in assenza di atti di prevaricazione”, verso gli altri ‘concorrenti’, ”posti in essere direttamente od indirettamente”.

In pratica per il tribunale il reato previsto dall’articolo 513 bis c.p. ”si configura solo se all’imposizione di un’impresa da parte della criminalità organizzata faceva effettivamente seguito l’uso di violenza o minaccia volta ad eliminare uno o piu’ concorrenti, in caso contrario anche se l’imposizione aveva comportato una autolimitazione dell’accesso degli altri imprenditori sul mercato, e’ configurabile solo il delitto di associazione mafiosa”.

Ma la Cassazione – dando ragione alla Procura di Napoli – non ha condiviso questa tesi ed ha detto che, nel caso del patto mafia-camorra, ”non si può dubitare della conifgurabilità” della turbativa alla libertà di impresa. ”L’utilizzo del metodo mafioso (che non ha bisogno se non in casi estremi della minaccia aperta e della violenza fisica e che ha determinato l’assoggettamento degli imprenditori alla volontà ed alle regole del sodalizio dominante nel territorio) ha leso la libertà di impresa ed il libero gioco della concorrenza senza che fosse necessaria la consumazione di alcuna forma di violenza fisica o di minaccia esplicita”, afferma la Cassazione dettando le linee guida sull’articolo 513 bis voluto dalla legge Rognoni-La Torre e raramente applicato. Ora il tribunale di Napoli dovrà rivedere l’imputazione a carico dei due imprenditori e ripristinare la custodia cautelare per questo reato ‘dimenticato’ dal riesame.