Dj Fabo, Marco Cappato si autodenuncia: “Stato si assuma sue responsabilità”

di redazione Blitz
Pubblicato il 28 Febbraio 2017 - 15:59 OLTRE 6 MESI FA

MILANO – Si è auto-denunciato Marco Cappato, dell’Associazione Luca Coscioni, dopo aver accompagnato Dj Fabo a morire in Svizzera. Prima di entrare in una caserma dei Carabinieri in centro a Milano, ha detto ai giornalisti: “Il mio obiettivo è portare lo Stato ad assumersi le sue responsabilità”.

“Entrerò e racconterò semplicemente quello che ho fatto, come ho aiutato Fabo ad ottenere l’assistenza medica alla morte volontaria, sarà poi compito dello Stato decidere se girare la testa dall’altra parte o consentirmi di difendere le mie ragioni in una aula di tribunale”.

Qualora la Procura di Milano decidesse di iscrivere nel registro degli indagati Marco Cappato, il reato che dovrebbe contestare è “aiuto al suicidio”, previsto dall’articolo 580 del codice penale.

“L’aiuto al suicidio” rientra nella fattispecie più ampia dell’articolo 580 del Codice Penale ovvero “Istigazione o aiuto al suicidio” che recita: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima”.

Se i fatti si sono svolti così come riferiti e riportati dai mass media Cappato avrebbe “agevolato in qualsiasi modo l’esecuzione” del suicidio. La competenza territoriale è di Milano, poiché dj Fabo viveva a Milano e da qui Cappato lo ha accompagnato in auto nella struttura vicino a Zurigo dove ha scelto di morire.

“Se ci sarà l’occasione di difendere davanti a un giudice quello che ho fatto – ha detto il radicale – lo potrò fare in nome di principi costituzionali di libertà e responsabilità fondamentali che sono più forti di un codice penale scritto in epoca fascista”.

Cappato ha chiarito, infatti, che nel codice penale “non si fa alcuna differenza tra l’aiuto a un malato che vuole interrompere la propria sofferenza e lo sbarazzarsi di una persona di cui ci si vuole liberare, mentre la Costituzione questa differenza la fa”. Secondo Cappato, “se i malati terminali potessero bloccare stazioni e strade per settimane, come altri hanno fatto, la legge sull’eutanasia l’avremmo avuta 40 anni fa”.

“Credo che lo Stato italiano – ha concluso – si debba assumere la responsabilità, perché la soluzione non può essere che se hai 10 mila euro e le condizioni di trasportabilità vai in Svizzera, mentre se stai inchiodato a un letto e non hai soldi devi subire o il suicidio nelle condizioni più terribili o una tortura di vita che non vorresti”.