Due bambine ammazzate dai padri in pochi giorni: “voci” e “raptus” alibi per gli assassini

di Redazione Blitz
Pubblicato il 22 Agosto 2014 - 11:59 OLTRE 6 MESI FA
Due bambine ammazzate dai padri in pochi giorni: che non ricompaiano "voci" e "raptus"

Luca Giustini (Foto da Facebook)

ROMA – Due bambine ammazzate dai padri in pochi giorni: “voci” e “raptus” alibi per gli assassini. Due uomini che prendono un coltello e colpiscono le proprie figlie. Lo fanno anche le madri, la più “celebre” Annamaria Franzoni, che anni fa accoltellò il piccolo Samuele nella loro villetta di Cogne. Adesso Luca Giustini e Roberto Russo, 34 e 47 anni. Genitori che perdono il controllo o semplicemente assassini, con l’aggravante di uccidere qualcuno che è loro vicino, intimo, familiare?

Dopo il caso di Giustini, il padre di Collemarino (Ancona) che pochi giorni fa ha ucciso a coltellate la figlia Alessia di un anno e mezzo, qualche psicologo ha chiesto di non tirare in ballo la scusa del “raptus”. Chi ha un figlio lo sa: per quanto ti possa prendere l’ira, lo sconforto, la difficoltà a gestire una vita difficile o un figlio che piange e non si capisce perché, per gettarsi armati di un coltello contro le proprie creature non basta un “raptus”.

Lo stesso Giustini ha detto di sentire “delle voci”. Certo, perché che altro potrebbe giustificare un padre modello, un lavoratore irreprensibile, che prima dà la vita e poi la toglie? C’è chi parla di “deliri mistici”, di vaneggiamenti. E adesso arriva il caso di Russo, padre disoccupato di 47 anni, genitore di quattro figli grandi. Che dopo aver ucciso una figlia di 12 anni e tentato di fare lo stesso con l’altra di 14 si è accoltellato alla pancia, ferendosi gravemente, ma senza ammazzarsi. Ha fatto quello che Sara Bedini, la mamma della piccola Alessia, avrebbe voluto che il marito Giustini facesse con il suo, di coltello. Ma Giustini non ha tentato il suicidio, ed ora si trova nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Ancona.

Perché i padri omicidi spesso non finiscono in una cella, dove probabilmente rischierebbero il linciaggio da parte degli altri detenuti, ma nei reparti di psichiatria. Si cerca di analizzare e capire perché l’hanno fatto, perché una notte, una mattina, un pomeriggio di agosto, sono andati in cucina, hanno aperto il cassetto delle posate, hanno tirato fuori il coltello più grosso che c’era e l’hanno conficcato dentro un corpicino troppo piccolo per ribellarsi, magari addormentato e inerte per il sonno.

Lo stress, la crisi, una rottura sentimentale possono portare a questo? O forse, anziché domandarsi perché, bisogna smettere di cercare giustificazioni e fotografare oggettivamente, semplicemente, quello che accade: un padre che ammazza la propria figlia.