Erika, 10 anni dopo: il padre che perdona e la “vergogna” di Novi

di Franco Manzitti
Pubblicato il 17 Febbraio 2011 - 14:29 OLTRE 6 MESI FA

Erika De Nardo

NOVI LIGURE – Arrivi a Novi dieci anni dopo quel febbraio 2001 della mattanza di Erika e Omar a cercare di pesare quella tragedia terribile, “uno dei fatti più gravi nella storia criminale italiana” come hanno scritto gli esperti. Arrivi in un febbraio di pioggia e di erba sporca, con la villetta dove si consumò la tragedia di Erika De Nardo 17 anni, del suo fidanzatino Omar, 16 anni che scolora nella bruma grigia, sul bordo tra la città di Novi, trentamila abitanti tra Liguria e Piemonte e la sua campagna piatta e ondulata di capannoni e vigne, colline coltivate e grandi fabbriche come l’Ilva del patron Emilio Riva e la Novi-Elah -Dufour del cavaliere di cioccolato, il potente Flavio Repetto, la Campari, la Pernigotti e sopratutto l’Outlet di Serravalle il “non luogo” record, che richiama 3 milioni di utenti-consumatori all’anno, il boom italiano che neppure la crisi frena in un delirio di saldi, di saldi di saldi, con i russi e i giapponesi che si fanno portare qua da ogni parte del Nord Italia per spendere, comprare, andarsene via carichi di sacchetti firmati, anzi strafirmati in un’orgia di made in Italy.

Che c’entra Erika, la bella e maledetta Erika, che uccise la madre Susy di 45 anni con novantasette coltellate, la crocifisse e poi si accanì sul fratellino che invano aveva cercato di avvelenare e poi di soffocare, e avrebbe fatto lo stesso se ci fosse riuscita con il padre il serissimo ingegner Francesco De Nardo, dirigente alla Pernigotti, religioso praticante, padre premuroso, sopratutto padre che ha perdonato e che non ha mai parlato di quel 21 febbraio 2001, ore 20 e trenta di sera, quando aprì la porta di casa e vide l’Inferno dei suoi cari straziati? Mai una parola, una frase, un’occhiata che dicesse di quel dramma profondo.

C’entra Erika, perchè dieci anni dopo quella macchia, quella tragedia che segnò non solo la famiglia, la casa, questo angolo tranquillo di Nord Ovest serio e produttivo, ombelico di una sicurezza sociale galleggiante tra lo sviluppo postindustriale, grande possibilità infrastrutturali, centro gravitazionale di una coscienza civile a prova di fiammate padane, restano ancora appiccicate a Novi, Novi Ligure, provincia di Alessandria, il paese di Fausto Coppi e poi solo di Erika e forse ora un po’ di quell’Outlet della Glen MacGregor, multinazionale scozzese, il più grande d’Europa, una piovra che, però, porta il nome di Serravalle. Arrivi a Novi a rievocare la tragedia, a rimettere insieme i cocci di tante vite spezzate dalle coltellate furiose e inspiegabili e sbatti subito nelle parole del parroco a cui allora erano affidate le anime della famiglia De Nardo. Don Valentino Culacciatti, un anziano sacerdote che ora officia a Salice Terme, ma che per 24 anni amministrò quella chiesa sullo spalto verde della periferia di Novi, tra le mura dell’XI secolo , in fondo a un viale di villette piccole, riservate, eleganti ma sobrie, tra le quali c’è ancora quella della famiglia De Nardo dove lui, il padre ha continuato a vivere, senza avere paura dei fantasmi, ridipingendo con le sue mani quelle pareti macchiate di sangue.