I ricercatori alla Gelmini: “Apra le carriere o incrociamo le braccia”

Pubblicato il 22 Marzo 2010 - 11:08 OLTRE 6 MESI FA

Precari e ricercatori dell’università italiana ancora contro il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini. I primi protestano perché si ritrovano senza prospettive di lavoro e i secondi perché da anni ormai aspettano i concorsi per diventare associati. Aspettando e sperando, entrambe le categorie contestano il disegno di legge del ministro Gelmini sulla riforma accademica, già approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri del 16 marzo.

Nell’attuale università i ricercatori (24.138 per l’Istat nel 2008, costituiscono circa il 40% del corpo docente) si occupano anche della didattica che invece dovrebbe essere di competenza dei professori associati e degli ordinari. A proclamare lo stato di agitazione è l’organo di rappresentanza nazionale, il Cnru (coordinamento nazionale Ricercatori universitari): «Invitiamo tutti i ricercatori universitari a non accettare incarichi per affidamento e supplenza per il prossimo anno accademico» e ad avviare «forme di lotta immediate che comprendano anche la sospensione dell’attività didattica».

In tutta Italia ormai i ricercatori contestano l’esclusione, prevista nel ddl Gelmini, dagli organi di governo degli atenei, come pure dalle commissioni di valutazione. Allo stato attuale il ricercatore per accedere al ruolo di professore associato deve conseguire un’abilitazione nazionale e poi vincere un concorso a valutazione comparativa. Al contrario, il nuovo ricercatore a tempo determinato, dopo aver conseguito l’abilitazione, col ddl Gelmini potrà essere assunto come professore associato per chiamata diretta dagli atenei.

«Questa procedura – scrivono i ricercatori di Cagliari – è vista come una discriminazione inconcepibile ed offensiva che tende a emarginare il ricercatore attuale, ridicolizzandone le competenze scientifiche e didattiche che, in molti casi, risultano essere ben superiori a quelle richieste per accedere “ipso facto” al ruolo di professore associato». E poi «le nuove regole previste dal disegno di legge, unite alla drammatica carenza di finanziamenti attualmente insufficienti perfino alla semplice copertura degli stipendi del personale già in ruolo, annullano di fatto qualunque reale prospettiva di carriera per i ricercatori».

Sul piede di guerra anche i ricercatori di Genova. Per loro nel ddl non c’è «alcun tipo di riconoscimento per l’attività di didattica frontale che la maggior parte dei ricercatori ha da anni svolto a titolo gratuito», anzi il progetto «vanifica ogni realistica aspettativa di progressione di carriera». E poi amaramente constatano che più che di categoria ad esaurimento (così definita dal ddl) sarebbe corretto parlare di categoria «terminale».

Stesso malessere tra i ricercatori della Tuscia o tra quelli della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali della Federico II di Napoli dove già dall’8 marzo 110 ricercatori si astengono dalle lezioni. Documenti di protesta sono stati firmati all’Alma Mater di Bologna e a Torino dove quest’anno 3mila precari, con età media di 35 anni, non avranno rinnovato il loro contratto per via del taglio dei fondi. Ma la protesta monta anche a Firenze, Pisa, Siena, Bari e Milano.