La madre di Valerio Verbano cerca ancora giustizia

Pubblicato il 18 Gennaio 2010 - 16:24 OLTRE 6 MESI FA

Carla Verbano

È il 22 febbraio 1980. Valerio, 19 anni, viene ucciso con un colpo di pistola alla nuca nella sua casa di Montesacro a Roma. I genitori sono nella stanza accanto, legati e imbavagliati. Dopo svariati tentativi di depistaggio l’assassinio è rivendicato dai Nuclei armati rivoluzionari, un’organizzazione neofascista, ma gli esecutori non saranno mai identificati.

La morte di Valerio Verbano è rimasta impunita, come i tanti decessi degli anni di piombo. La giustizia non c’è arrivata, nessuno tra i tanti pentiti, dichiaranti o informatori, ha voluto o potuto parlarne.

Per questo la madre di Valerio, Carla Verbano, con il giornalista del Corriere della Sera, Alessandro Capponi, dopo trent’anni riassumono in un libro di 200 pagine, la fine misteriosa di un ragazzo forse vittima della guerra tra “rossi” e “neri” che si disputavano nei quartieri di Roma negli anni ’80. Per non dimenticare il sacrificio di un ragazzo. Carla ha 86 anni e nelle pagine di “Sia folgorante la fine” fa il proprio identikit, «alta un metro e cinquanta, 49 chili», perché aspetta di incontrare per strada chi sa della fine del figlio, meglio chi lo ha ucciso.

Carla non dimentica quella sera, quando tre ragazzi entrarono in casa, imbavagliarono lei e suo marito in camera da letto. Non poteva urlare o avvertire suo figlio dell’agguato. Poteva solo sperare che non rientrasse a casa, magari un incidente col motorino e la corsa in ospedale. Si sarebbe salvato. Valerio rientra, però, come al solito puntuale. Rumori di colluttazione, urla e poi il silenzio. Carla si ritrova ad abbracciare il suo unico figlio morente, freddato da una pistola con silenziatore.

L’anziana, ma vispa, signora Verbano ricostruisce e mette insieme indizi più o meno labili per provare a risalire una china che investigatori e magistrati non sono riusciti a individuare. Eppure in casa gli assassini hanno lasciato un passamontagna, un berretto di lana, il rotolo di nastro adesivo usato per immobilizzare i genitori. Ma “i corpi del reato” sono stati inspiegabilmente distrutti e se qualcuno oggi volesse trovarci il Dna, non avrebbe niente in mano.

Valerio, vicino all’area dell’Autonomia operaia, stava raccogliendo un dossier sui collegamenti tra alcuni gruppi dell’estrema destra e settori della malavita cittadina, incluse vicinanze e coperture degli apparati statali. Il materiale, sequestrato durante una perquisizione, scompare dagli archivi alla morte del ragazzo.

Ricompare sotto gli occhi del giudice Mario Amato, responsabile dell’indagine, che poche settimane dopo muore in un agguato. L’inchiesta si arena in un fascicolo denominato “atti contro ignoti”.

La ricerca nel libro però non si placa. E’ un viaggio attraverso le strade e i luoghi di tante vittime dell’epoca. Tra questa anche quella di Stefano Cecchetti, morto il 10 gennaio 1979. Cecchetti si trovava davanti a un bar conosciuto come ritrovo dei fascisti, anche se lui fascista non era. Valerio Verbano lo conosceva, rimase sconvolto e ne parlò alla madre, agli amici, telefonò anche a una radio di estrema sinistra per dire che «ammazzare in quel modo era una porcheria». Un anno e un mese dopo toccò a lui morire.

Del dossier Verbano non si è più saputo nulla. Intanto la mamma di Valerio, dallo stesso salotto in cui si svolse la tragedia, continua a chiedere giustizia: non solo per sé, ma per tutte le famiglie devastate dalle raffiche degli anni di piombo.