Marrazzo riabilitato dalla Cassazione: “Sono vittima e testimone”

Pubblicato il 19 Aprile 2010 - 18:10 OLTRE 6 MESI FA

«In sei mesi non è cambiato nulla: ero e sono una vittima e un testimone di quanto è avvenuto. E’ importante che ciò sia stato affermato dalla Cassazione»,  ha detto l’ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. I Supremi giudici avevano parlato di una vera e propria imboscata nei suoi confronti.

«Ho scelto il silenzio per sei mesi per rispetto ai giudici, agli investigatori e all’Arma dei carabinieri. Mi sono assunto le mie responsabilità -ha spiegato- verso i cittadini e gli elettori dimettendomi per colpe che sono personali e che hanno coinvolto anche la mia famiglia».

«Non ho contestato tutte le falsità che sono state dette: la verità l’ho detta davanti ai giudici», ha proseguito. Visibilmente dimagrito, capelli rasati e vestito elegantemente è apparso emozionato alla sua prima uscita pubblica dopo lo scandalo che lo ha travolto fino a portarlo alle dimissioni da presidente della Regione Lazio.  Marrazzo ha voluto ringraziare anche la moglie e le figlie che «mi sono state vicino sempre: ho una famiglia splendida».

«Oggi ho pensato che in Italia un cittadino può attendere il lavoro della magistratura con fiducia». Parlando del suo futuro l’ex governatore si è detto «pronto a rientrare in Rai: sono a disposizione dell’azienda, tornerò a fare il mio lavoro nella comunicazione».

La Suprema Corte nelle motivazioni contenute nella sentenza 15082 della IV sezione penale nel respingere la difesa avanzata dai quattro carabinieri indagati coinvolti nel ricatto a Marrazzo, aveva scritto  che l’allora governatore del Lazio  era stato vittima di una vera e propria imboscata.

Per la Cassazione essa è «infondata» in quanto, scrive il relatore Giacomo Foti, «nei confronti di Marrazzo nulla autorizza ad ipotizzare condotte delittuose essendo egli chiaramente la vittima predestinata di quella che è stata considerata come una imboscata organizzata ai suoi danni».

La difesa dei carabinieri Nicola Testini, Antonio Tamburrino, Luciano Simeone e Carlo Tagliente, tutti e quattro indagati per il ricatto all’ex governatore, sostenevano ancora, a loro discolpa, di dichiarare inutilizzabili le dichiarazioni di Marrazzo anche per il fatto che era stato trovato in possesso di droga. Su questo punto la suprema Corte scrive che «nè la presenza di cocaina nella casa del trans Natalie avrebbe potuto condurre a diverse conclusioni non solo perchè quella presenza è stata attribuita agli indagati che miravano evidentemente a rendere più gravosa la posizione del Marrazzo per renderlo più vulnerabile e pronto a subire qualsiasi ricatto, ma anche perchè, ove anche a costui si fosse attribuita detta presenza, nessuna conseguenza di natura penale avrebbe potuto derivargliene, trattandosi di droga chiaramente destinata al consumo personale».

Bocciata anche la tesi difensiva volta a denunciare l’utilizzo dell’auto blu da parte di Marrazzo per recarsi agli incontri di via Gradoli. «Ugualmente irrilevante -scrive la superema Corte- sotto il profilo penale deve ritenersi l’uso, da parte dello stesso Marrazzo, dell’auto di servizio per raggiungere l’abitazione di via Gradoli posto che di detta auto l’ex presidente della Regione Lazio era autorizzato a servirsi». La suprema Corte fa pure un riferimento al video con il quale Piero Marrazzo era stato ricattato dai carabinieri.