Cinque omicidi da strada, 20 ammazzati e cinque colpevoli senza galera

di Riccardo Galli
Pubblicato il 22 Agosto 2011 - 14:39 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Cinque storie, cinque incidenti d’auto che provocano diciannove morti. E cinque colpevoli, tutti positivi all’alcol test o al drug test. Sarebbe lecito aspettarsi che i cinque siano in carcere a scontare una pena, ma non è così. Hanno ucciso in strada e sono liberi. Nell’aritmetica di queste storie, 5, con 19 morti, anzi 20, contando il suicidio di un padre sopravvissuto allo schianto in cui hanno perso la vita i suoi due bambini e sua moglie, c’è qualcosa che non torna. Il risultato, che ovviamente non può cancellare il dolore e ridare la vita, dovrebbe essere comunque di qualche anno di carcere a testa.

A vedere che fine hanno fatto i responsabili di alcuni dei più gravi incidenti mortali avvenuti sulle strade italiane ci ha pensato il Corriere della Sera, e ha scoperto che se la sono cavata tutti con poco. Essere accusati, e colpevoli, di omicidio per guida sotto l’effetto di alcol o droga evidentemente in Italia non è poi così grave.

Non ha fatto un solo giorno di carcere Fabio Gulotta, 21 anni, denunciato a piede libero per omicidio colposo plurimo aggravato dalla guida in stato di ebbrezza che, in attesa del rinvio a giudizio, ha ripreso a frequentare i bar e la piazza di Campobello di Mazara. Campobello di Mazara dove, lo scorso 15 gennaio, con la sua Bmw ad un incrocio ha travolto, a 120 chilometri orari, la Fiat 600 sulla cui viaggiava la famiglia Quinci. Morirono i due bambini, Martina e Vito di 12 e 10 anni e, qualche ora dopo, anche la madre Lidia Mangiaracina di 37 anni. Unico sopravvissuto il capofamiglia, Baldassare Quinci, 43 anni, maresciallo dell’aeronautica, che per mesi ha cercato nella giustizia una ragione per andare avanti. Invece, per assurdo, si è visto contestare dai legali di Gulotta il concorso di colpa nell’incidente. Un mese fa Quinci ha deciso di farla finita, si è impiccato ad una trave. Nessun risarcimento per le vittime e l’unica sanzione per Gulotta è stato il ritiro della patente.

In carcere è finito invece Stefano Lucidi, il primo pirata della strada a essere condannato in Italia per omicidio volontario con dolo eventuale. Ma un anno dopo la condanna i giudici, prima in appello e poi in Cassazione, hanno cambiato idea e gli hanno dimezzato la pena: da 10 a 5 anni. Nel maggio 2008 uccise Flaminia Giordani e Alessio Giuliani fidanzati di 23 e 22 anni, investendoli all’incrocio fra la Nomentana e viale Regina Margherita a Roma. Aveva omesso di fermarsi e prestare loro soccorso, dandosi alla fuga e preoccupandosi solo di «appizzare» (nascondere) la macchina, individuata grazie a un testimone. Lucidi assumeva cocaina e per questo gli era stata tolta la patente. E all’epoca dello scontro mortale con la sua Mercedes risultò positivo all’ uso di stupefacenti. Ad accusarlo di essere passato con il rosso è stata la sua compagna (anche lei a bordo).

Marco Ahmetovic è anche lui in carcere, ma non per i quattro ragazzi che ha travolto con il suo furgone nell’aprile del 2007, ma per una rapina. Per l’incidente del 2007 aveva avuto i domiciliari. Ahmetovic è il rom che, ubriaco, con un tasso alcolico nel sangue sei volte superiore al limite, travolse e uccise ad Appignano 4 giovani tra i 16 e i 19 anni: Eleonora Allevi, Davide Corradetti, Danilo Traini e Alex Luciani. Accusato di omicidio colposo con colpa cosciente in primo grado fu condannato a 6 anni e sei mesi (confermato in appello e in Cassazione) ma, all’epoca, fece scalpore la decisione di concedergli i domiciliari in un appartamento che non era il suo (era senza fissa dimora).

Ancora in attesa di giudizio è invece Chafik Elketani, il ragazzo che con la sua auto travolse un gruppo di ciclisti uccidendone sette. Elketani, marocchino di 21 anni positivo al test della cannabis, piombò il 5 dicembre del 2010 con la sua Mercedes su un gruppo di dieci ciclisti amatoriali uccidendone sette e ferendone tre. Accusato di omicidio colposo plurimo aggravato dalla guida sotto l’effetto della droga è in attesa del processo con rito abbreviato che si terrà soltanto il 21 settembre prossimo, a 9 mesi dai fatti. L’omicida, che guidava anche senza patente, è in carcere in attesa di giudizio.

Non aveva “fumato” ma bevuto Alessandro Bonelli quando, il 24 aprile del 2010, uccise un’intera famiglia. Dopo soli due giorni di carcere finì agli arresti domiciliari con il permesso di andare al lavoro. L’ imprenditore milanese guidava sull’ A4 con un tasso etilico tre volte più alto rispetto al limite di legge. Un particolare che, unito all’ alta velocità, costò la vita di Alessio Pecci (34 anni), di sua moglie Silvia Marx (32 anni) e di loro figlio Nicolas di 18 mesi. La Renault Clio della famiglia Pecci che viaggiava in direzione di Brescia fu tamponata dalla Bmw sul rettilineo che immette al casello di Desenzano. Uno scontro molto violento che catapultò l’utilitaria prima contro un’altra auto per poi schiacciarla contro il guard rail . In primo grado (dicembre 2010) Bonelli è stato condannato con rito abbreviato a 4 anni e 4 mesi per omicidio colposo. Aveva precedenti per guida in stato di ebbrezza. L’appello (giugno 2011) ha confermato la sentenza ma a settembre l’avvocato difensore presenterà un’ istanza di remissione in libertà.