“Ridevo per il terremoto”: tenta il suicidio l’imprenditore Piscicelli sotto inchiesta per gli appalti G8

Pubblicato il 1 Aprile 2011 - 10:56 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La sua lenta disgrazia lavorativa, Francesco Piscicelli, la deve all’inchiesta che lo vede coinvolto per gli appalti legati ai Grandi Eventi del G8. Ma il macigno che pesa sulla sua vicenda extragiudiziaria è legato tutto a quella frase al telefono, che lo ha reso d’un colpo uno dei simboli più loquaci del cinismo. “Io ridevo stamattina alle 3,30″ avrebbe detto intercettato, ricordando quanto si fregava le mani la notte del 6 aprile, quella del terremoto in Abruzzo, pensando al business della ricostruzione. Poi smentì sempre di aver detto quella frase, fatto sta che l’imprenditore Piscicelli, dal quel 6 aprile 2009, di affari non è ha fatti più molti. Vuoi per quella frase, vuoi per l’inchiesta che pesa con la sua accusa di corruzione, fatto sta che il lavoro s’è fermato.

E l’imprenditore, da mesi fuori dal carcere, ha tentato il suicidio nel suo studio di via Margutta a Roma. La notte di mercoledì Piscicelli ha ingerito diversi barbiturici. Salvato dall’intervento della moglie, che non vedendolo rincasare, ha avvertito la polizia, ora è fuori pericolo. Secondo il suo avvocato, l’avvocato Marcello Melandri, l’inchiesta sui Grandi eventi ha segnato molto le condizioni psicologiche dell’imprenditore: ”Lo psicologo del carcere di Pisa già aveva segnalato questo rischio, per la detenzione e per lo stress a cui era sottoposto con l’inchiesta. Non è un caso se non ha mai voluto partecipare alle udienze”. Piscicelli venne arrestato la notte fra il 4 e il 5 marzo del 2010; il 3 maggio gli vennero concessi i domiciliari. Il 20 dicembre 2010 è tornato libero.

L’imprenditore adesso è a processo a Roma per corruzione, per il filone dell’inchiesta sull’appalto per la costruzione della scuola marescialli dei carabinieri, a Firenze. Con lui sono imputati l’ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, Angelo Balducci; l’ex provveditore alle opere pubbliche della Toscana, Fabio De Santis; e il manager Riccardo Fusi. Nell’ordinanza dell’inchiesta sulla Scuola dei marescialli a Firenze, Piscicelli viene indicato come ”l’intermediario che non solo mette in contatto le parti dell’accordo corruttivo, ma rimane sulla scena fino alla fine cercando, senza risultato, di lucrare”. Sempre lui avrebbe ”cercato di influenzare i pubblici funzionari in vista degli appalti del 150esimo anniversario dell’Unita’ d’Italia”. Inoltre, prosegue il giudice, ”lungi dall’essere un millantatore, ha effettivamente agganci in alto e quando ne ha bisogno non si trattiene dal chiedere favori in cambi di benefit”.

Secondo il gip, infine, la personalità di Piscicelli ”quale traspare dalle indagini è alquanto negativa, avendo più volte dimostrato di essere cinico e senza scrupoli”. Emblematica a questo proposito sarebbe la telefonata con il cognato ”in cui i due come sciacalli programmano di buttarsi sugli appalti della ricostruzione post terremoto dell’Abruzzo”. Ed eccola quell’intercettazione contestata. . PISCICELLI: sì GAGLIARDI:…oh ma alla Ferratella occupati di sta roba del terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito…non è che c’è un terremoto al giorno P:..no…lo so (ride) G:…così per dire per carità…poveracci P:..va buò ciao G:…o no? P:…eh certo…io ridevo stamattina alle 3 e mezzo dentro il letto (il riferimento è all’ora del sisma, ndr). G:…io pure…va buò…ciao. Successivamente, l’imprenditore ha smentito di essere lui quello che rideva, sottolineando che si trattava invece del cognato, definito la ”metastasi della mia vita” ed ha inviato comunque una lettera di scuse per ”quella frase scioccante”.

Nell’intervista rilasciata dall’imprenditore a “Repubblica” il 13 febbraio 2010, Piscicelli si era difeso così: “Gesù, quello non sono io”, “Per carità, sono io che parlo. Ma non sono io che dico quella frase. La dice la persona che era al telefono con me, mio cognato”, “I carabinieri devono aver fatto confusione. Ci sarà il nastro no? Lo giuro. È mio cognato. Io ho detto solo “vabbuò”, “vabbuò”. Sa no, come si dice a Napoli quando si vuole tagliare corto. Guardi ero inorridito anche io quella mattina quando ho sentito quella frase. I-nor-ri-di-to”. “Ho detto solo “Vabbuò”. Rido di imbarazzo. Si ride anche di imbarazzo, no? E poi che ne so io che è la Ferratella.”