Vigilessa uccisa da ex comandante, come è morta Sofia Stefani: la telefonata, l’incontro, lo sparo

di redazione cronaca
Pubblicato il 18 Maggio 2024 - 10:55
vigilessa uccisa

foto ANSA

Sofia Stefani, 33 anni, ex vigilessa, è stata uccisa da un colpo di pistola partito dall’arma di ordinanza di un vigile di 62 anni, all’interno del comando di Anzola dell’Emilia. “È stato un incidente, mi ha aggredito, stavo pulendo l’arma ed è partito un colpo,” si è difeso l’uomo prima con i soccorritori e poi davanti al pm Stefano Dambruoso, al quale ha rilasciato solo dichiarazioni spontanee prima di essere fermato per omicidio aggravato dai futili motivi e dalla relazione sentimentale con la vittima. Per la Procura non c’è dubbio che si sia trattato di un femminicidio: il pm contesta l’aggravante specifica, ma le accuse saranno vagliate dal gip che stamattina sentirà il 62enne per la convalida del fermo. Il vigile indagato, commissario capo della Municipale, era rientrato in servizio ad Anzola dopo essere stato comandante nell’Unione comunale Terre d’Acqua. È in carcere da giovedì notte. Di certo non aveva gradito il cambio di mansioni dovuto all’uscita del Comune di Anzola dall’Unione.

Come è stata uccisa la ex vigilessa

Sposato, laureato in Giurisprudenza, con due figli, la sua famiglia non sembrava avere ombre. Tuttavia, sembra che la moglie, medico a Bologna, così come il fidanzato di Sofia, fossero a conoscenza della relazione extraconiugale. Nel 2015, il 62enne aveva avuto guai giudiziari: rinviato a giudizio per diffamazione aggravata e sostituzione di persona per aver creato falsi profili su Facebook dai quali insultava il sindaco di Anzola. Fu assolto. Giovedì, Sofia lo aveva chiamato e poi si era presentata nella sede della Municipale, dove aveva prestato servizio come vigile per tutto il 2023, ma il suo contratto non era stato rinnovato a novembre. Aveva dismesso la divisa, ma non aveva abbandonato il sogno di lavorare nella pubblica amministrazione.

Secondo il 62enne, lui aveva deciso di rompere la relazione, ma lei non si rassegnava. Questa versione sarebbe confermata da alcuni messaggi ritrovati dai carabinieri sul telefono della donna. Tuttavia, gli inquirenti non credono alla versione del colpo partito per sbaglio: l’uomo non prestava servizio in pattuglia, quindi non aveva motivo di avere la pistola con sé né di pulirla, e soprattutto di tenerla carica. Aveva preso l’arma dalle cassette di sicurezza in centrale mezz’ora prima che la donna arrivasse. Un’ipotesi è che volesse spaventarla. Il suo avvocato, Claudio Benenati, assicura che “si è trattato di una tragedia, non è un femminicidio.” Intanto, la Procura ha disposto l’autopsia per capire la traiettoria dello sparo, che ha colpito Sofia sotto un occhio.