Vittorio Feltri: “Estate fredda, ma lavorano solo i cinesi”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 17 Agosto 2014 - 18:29 OLTRE 6 MESI FA
Vittorio Feltri: "Estate fredda, ma lavorano solo i cinesi"

(Foto Lapresse)

ROMA – L’estate è fredda e piovosa, la crisi galoppa, ma a lavorare ad agosto sono solo i cinesi. O quasi. E’ la tesi di un editoriale di Vittorio Feltri pubblicato il 17 agosto sul Giornale. 

Feltri offre una panoramica del maltempo che ha funestato quasi tutta l’Italia estiva, dai temporali alle bombe d’acqua. Irride le recenti previsioni di siccità globale fatte su alcuni dei più noti quotidiani nazionali solo fino a qualche anno fa.

“Stando alla pubblicistica chic, il caldo estivo non era normale, bensì annunciava l’arrivo di un’era caratterizzata da aridità e arsura. Moriremo di sete, gridavano i menagramo. Sbagliato, al massimo moriremo di fame o per affogamento. Se c’è una cosa che abbonda dalle nostre parti è l’acqua, che dal cielo scende a secchiate sulle nostre teste e non ci concede requie. Abbiamo trascorso la primavera e l’estate con i piedi nelle pozzanghere. L’unico settore che ne ha tratto vantaggio è stato quello degli ombrelli. Per il resto è una tragedia. Anche l’economia è fradicia: basta guardare i dati forniti dall’Istat, da cui si evince amaramente che la crescita è un’illusione, mentre il calo è una realtà. Matteo Renzi cerca a modo suo – a parole – di minimizzare la portata delle statistiche negative dicendo che il Pil è un valore astratto del quale bisogna fregarsene”.

Feltri ricorda altri “tormentoni” estivi, come lo spread e la spending review, passati di moda appena il leader di turno veniva surclassato da un altro “liberatore”.

“In meno di un triennio il bilancio è peggiorato parecchio. Si è registrato un solo aumento considerevole: quello della miseria. Abbiamo globalizzato i pidocchi e varie malattie infettive, non le merci, che giacciono invendute”.

 

Poi racconta un’esperienza personale:

“Ieri, 16 agosto, esco di casa, percorro in città chilometri e chilometri; una fila interminabile di saracinesche abbassate. Eppure è sabato, giorno feriale. A dire il vero, su cento negozi chiusi, uno è aperto. Chi sono queste mosche bianche che lavorano? Verifico. Sono cinesi. Hanno rilevato bar e tabaccherie. Lavorano da mane a notte. Anche i parrucchieri da uomo e da donna sono orientali iperattivi. I piccoli supermercati a orario continuato sono pure gestiti da questa gente instancabile. Che sta accadendo in Italia? Compulso le statistiche e scopro che l’occupazione tra gli stranieri è salita in pochi mesi del 4 per cento, mentre quella dei compatrioti è precipitata. La disoccupazione generale naviga intorno al 12 per cento. Un contrasto illuminante.

I commercianti e gli imprenditori extracomunitari si danno da fare e incrementano i loro affari. I nostri sono costretti a vendere baracca e burattini, non resistono. Perché? D’accordo, il fisco uccide. Ma c’è altro. I cinesi e affini sgobbano 15 ore al dì per dodici mesi e si accontentano di 12 mensilità. I signorini del Belpaese, tra ferie, permessi e assenze più o meno giustificate, sono impegnati 10 mesi l’anno, percepiscono 14 mensilità e, terminate 8 ore quotidiane, badano ai casi propri.

Ecco perché perdiamo. Non c’è partita tra chi ha fame e suda senza fiatare e chi, avvezzo al benessere e tutelato dai sindacati e da una normativa folle, non accetta di sostenere sacrifici. Non è tanto la crisi che ci ammazza, ma il benessere e la pigrizia che esso ha indotto. La strada della ripresa è in salita, come negli anni Cinquanta e Sessanta quando anche tutti noi eravamo cinesi e non (piccoli) borghesi”.