Ma quali Btp… la Cina in Italia punta all’Eni

Pubblicato il 13 Settembre 2011 - 21:24 OLTRE 6 MESI FA

Giulio Tremonti (Foto LaPresse)

ROMA – Il dubbio che quello del dragone cinese verso l’Italia in crisi non fosse volontariato ora è certezza. L’incontro tra la delegazione del Fondo sovrano cinese, il ministro dell’Economia italiana Giulio Tremonti, quello delle Infrastrutture Altero Matteoli e colui che ormai sembra sempre più il successore (almeno de facto) di Mario Draghi alla Banca d’Italia, Vittorio Grilli, ha contribuito a disperdere gli ultimi dubbi rimasti: la Cina è in Italia per fare shopping, ma non compulsivo. I cinesi comprano bene. Se poi contribuiranno a salvare il Bel Paese con un bell’acquisto di Buoni del Tesoro sarà solo un’involontaria conseguenza.

Certo, Pechino dovrebbe acquistare bond di Roma. E del debito pubblico italiano la repubblica popolare detiene già il 4 per cento, su un totale di circa 1.900 miliardi di euro. Ma il vero obiettivo sono le società strategiche, Enel ed Eni in testa. In particolare, la società di Paolo Scaroni interessa molto per la sua presenza in Africa. E il fatto che il nuovo console a Shanghai sia un ex manager Eni chiarisce ancora di più la situazione. Se poi si aggiunge una Russia sempre più attiva a stringere accordi con l’Eni (proprio domani, 14 settembre, Scaroni incontrerà a Mosca il premier russo Vladimir Putin per la firma definitiva di un accordo sul South Stream), certo si capirà perché Pechino non vuole stare a guardare.

L’incontro di oggi sarebbe stato focalizzato soprattutto sui fondi della Cassa Depositi e Prestiti, azionista, tra l’altro, di Eni, Terna e Finmeccanica. In particolare sul fatidico fondo strategico italiano, nato a maggio scorso per difendere Parmalat ed Edison e permettere alla Cdp di investire in imprese di ”rilevante interesse nazionale”, dalla difesa all’energia fino all’intermediazione finanziaria, e per cui è ancora in corso il processo di fund raising (raccolta fondi).

Energia e banche sono del resto alcuni dei settori chiave in cui la China Investment Corp, uno dei maggiori fondi sovrani al mondo (il quinto in assoluto), ha investito negli ultimi mesi, approfittando della crisi dei mercati che ha reso le società prede appetibili grazie all’enorme quantità di liquidità a sua disposizione.

L’ultima operazione resa nota dal fondo è stata infatti l’entrata nel settore Esplorazione e Produzione della francese Gdf Suez, mentre al 2007 risale l’investimento in Morgan Stanley. Il fondo è però anche uno degli investitori principali nel debito pubblico di molti Stati sovrani e per questo resta ancora l’incognita (avvalorata dalla presenza nella delegazione del capo del reddito fisso, ovvero del responsabile dell’acquisto di bond) su un possibile coinvolgimento di Pechino anche nell’acquisto di titoli italiani.

Ma quello di oggi è stato solo l’ultimo di una serie di incontri. Lou Jiwei, presidente di China Investment Corp, ha guidato la scorsa settimana una delegazione in Italia per incontrare il ministro dell’Economia Tremonti e Franco Bassanini della Cassa Depositi e Prestiti, ente operativo del Tesoro. E proprio Cassa Depositi e Prestiti ha lanciato in luglio un fondo strategico con un investimento iniziale di 4 miliardi di dollari e che prevede di ampliare a 7 miliardi di dollari con la partecipazione di altri investitori, anche esteri.

Due settimane prima le autorità italiane sono andate a Pechino per incontrare rappresentanti del Cic e della State Administration of Foreign Exchange (Safe), che gestisce i 3.200 miliardi di dollari di riserve valutarie estere cinesi. Il direttore generale del Tesoro, Grilli, ha incontrato investitori cinesi a Pechino in agosto.

A fine luglio era stato il ministro degli Esteri Franco Frattini in visita a Shanghai a lanciare la proposta di una compartecipazione cinese alla riqualificazione di immobili italiani di pregio, verificando peraltro l’interesse anche per investimenti nelle infrastrutture a partire dall’alta velocità.

A chiudere il quadro si ricordi che dal 2009 al 2011 gli accordi bilaterali tra Italia e Cina sono passati da 1,4 miliardi di euro a quasi 2,5 miliardi, coprendo, di fatto, tutti i settori, con partnership con gruppi come Fiat, Ansaldo Breda e Generali, mentre, per quanto riguarda l’interscambio commerciale, si è avuto una cresciuta, solo nel 2011, del 50 per cento.

Tremonti ha scritto molto sui propri timori su una colonizzazione cinese dell’Europa, ma ora pare proprio non avere alternative.