Deaglio su Confindustria evoca la serie B. “Basta impresa familiare”
ROMA – Per Confindustria la sfida è restare nella serie A, nei giorni in cui tutti gli indicatori danno conto del crollo della capacità produttiva italiana. A proposito della designazione di Giorgio Squinzi alla presidenza di Confindustria, l’editorialista della Stampa Mario Deaglio, segnala la circostanza del testa a testa con il rivale Alberto Bombassei, come la spia dell’allargamento alla categoria imprenditoriale di uno sbriciolamento delle rappresentanze definibile più che come un “tutti contro tutti” con il “nessuno con nessuno”. Il fenomeno dell’impossibilità di giungere a posizioni condivise riguarda in maniera lampante la politica, il lavoro, i territori: ora è giunta anche in Confindustria che, sostiene Deaglio, finora aveva costituito un collante efficace della multiforme realtà imprenditoriale.
Deaglio evoca la serie B. E invoca una “città futura” per invertire l’attuale congiuntura dove la produzione, oltre le più fosche previsioni, è calata del 22% rispetto a prima della crisi del 2008. La “città futura” dovrebbe consegnarci un comparto industriale più dinamico a patto che: le imprese crescano di dimensione e rafforzino la dotazione di capitale, distinguendolo da quello personale dei capitani d’industria e ricorrendo meno al sostegno bancario. Devono aprirsi ai mercati e sottoporsi al giudizio dell Borse, invece che rinchiudersi nel guscio familiare.
Dovrebbero difendere il patrimonio di creatività e innovazione tecnologica che spesso viene rapito dai gruppi stranieri che si prendono il know how e lasciano in Italia delle scatole vuote. Rischiamo che il nanismo industriale ci releghi alla serie B in maniera permanente. Basta difendere solo la “fabbrica” e non interessarsi per nulla alla “non fabbrica”, come nel caso dell’Information Technology in cui siamo distanti anni luce dagli standard mondiali. Serve un progetto forte a Confindustria, la mediazione degli interessi non delle varie componenti non basta più.
