2012, fine della Crisi: posti di lavoro e salari meno 6/8 per cento

di Sergio Carli
Pubblicato il 21 Luglio 2010 - 15:34| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il fatturato, cioè gli affari realizzati, e gli ordinativi, cioè gli affari in corso delle aziende italiane erano a maggio 2008 a quota 120 della scala che ne misura la quantità. Oggi, dopo l’impennata di entrambi pari al 22 per cento, sono rispettivamente a quota 101 e 104. Allora che vuol dire, c’è stata o no “l’impennata”? Sì, se si paragona il dato attuale a quello dell’estate 2009. Allora entrambi gli indici oscillavano tra quota 85 e quota 90. No, nessuna impennata se il paragone è con i mesi precedenti al “contagio” nelle imprese della grande crisi finanziaria. Allora che vuol dire, la “Ripresa” c’è o no?

C’è, ma a questi ritmi fatturati e ordinativi torneranno ai livelli del 2008 solo nel 2012. Allora basterà, si fa per dire, aspettare altri due faticosi anni perchè tutto torni come prima della crisi e quindi il mondo di prima riprenda ad esistere? No, perchè altri due conti vanno fatti. Il conto della produttività, cioè di quanto lavoro ci vuole per unità di prodotto. Supponendo un incremento medio della produttività di circa 1/2 per cento all’anno (sotto si esce dai mercati perchè le merci prodotte costano troppo per venderle sui mercati stranieri), l’industria italiana avrà nel 2012, con gli stessi fatturati e ordinativi del 2008, bisogno del 6/8 per cento di lavoratori in meno. Cioè nel 2012 si produrrà e venderà quanto nel 2008 ma con sei, otto lavoratori in meno su cento occupati. Oppure si potrà mantenere la stessa occupazione, gli stessi posti di lavoro però con salari di fatto inferiori quanto a capacità di acquisto del 6/8 per cento.

E’ matematica e non politica. Matematica che dice che al mondo di prima non si torna, neanche se c’è la Ripresa con la maiuscola. Per mantenere in progresso insieme produzione, vendita, occupazione e salario occorre cambiare “mondo”. Cioè studiare meglio e di più, avere scuola e università che fanno altro da quello che oggi fanno. Altro che è il contrario di quanto docenti, sindacati, studenti e famiglie chiedono. Occorre una scuola insieme diversa e più dura. Occorre poi produrre altro da ciò che oggi si produce, con nuove competenze manageriali e delle maestranze. Nuova e tanta tecnologia, diverso uso dei capitali, quasi un nuovo capitalismo. Quel che gli imprenditori non vogliono, se non nei convegni. E occorre spendere altrimenti il denaro pubblico, meno sovvenzioni al reddito e più Stato sociale. Quello che Regioni, Comuni e partiti non vogliono o non sanno volere, quel che decine di milioni di italiani considerano come attentato ai diritti acquisiti.

Se invece si aspetta e si vuole che torni il mondo di prima così com’era pari pari, ci si accorgerà che torna alquanto “dispari”: meno lavoro e/o meno reddito per chi lavora. E questo sia che governi Berlusconi o Tremonti o Bersani o Vendola.