Articolo 18. La legge Fornero non si applica ai processi in corso

Pubblicato il 9 Maggio 2013 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Licenziamenti. La legge Fornero non si applica ai processi in corso. L’articolo 18 modificato dalla legge Fornero non si applica ai processi in corso. Per la Corte di Cassazione Sezione Lavoro, il doppio regime si impone perché la riforma non ha solo ridisegnato le sanzioni ma, di fatto, ha  introdotto qualificazioni giuridiche diverse dei fatti “incompatibile con una sua immediata applicazione ai processi in corso”. La data spartiacque (prima si applica il vecchio art. 18, dopo la legge Fornero che lo modifica) è il 18 luglio 2012, giorno dell’entrata in vigore della legge. Ci hanno provato i giudici a superare questo regime transitorio, la doppia lettura giuridica a seconda che si tenga conto della data: gli ostacoli giuridici e la stessa cornice costituzionale lo impediscono.

I fatti. Un dipendente di una società telefonica è stato licenziato per aver effettuato dal cellulare aziendale un numero di telefonate  (più di 13 mila sms) personali improprie perché non inerenti le sue mansioni (con un  danno calcolato in 1700 euro). Siamo tra il 1999 e il 2000. Il Tribunale di Napoli avalla e giustifica la giusta causa del licenziamento. La Corte d’Appello ribalta la sentenza ordinando la reintegrazione del dipendente sul posto di lavoro e il pagamento degli arretrati (retribuzioni e contributi maturati nel frattempo). In sede d’Appello, i giudici non hanno riscontrato “raggiri o frode” nel comportamento del lavoratore: il danno era lieve e poteva essere verificato facilmente.

Il ricorso in Cassazione, e soprattutto le motivazioni che lo hanno respinto, definiscono il quadro attuale in cui non è ancora stato chiarito bene che cosa accada alle decisioni assunte dalle aziende prima della nuova legge. Per ora resta, dopo la sentenza, che ai licenziamenti intimati prima dell’entrata in vigore della riforma, non si applica il nuovo articolo 18. Dal Sole 24 Ore (e dalla sentenza) apprendiamo che:

La Sezione Lavoro della Suprema Corte ha invece sottolineato che «con la legge è stata introdotta una nuova, complessa e articolata disciplina dei licenziamenti» in base alla quale le sanzioni irrogabili nel caso di licenziamento illegittimo (che vanno dal reintegro all’indennizzo di un minino di 12 mensilità) non sono compatibili con il giudizio di legittimità deputato alla Cassazione, ma anche il rinvio al giudice di merito «risulterebbe in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo e con l’articolo 111 della Costituzione e con la Convenzione Europea sui diritti dell’uomo».