Sacconi: “Sull’innalzamento età delle pensioni delle donne non c’è trattativa con l’Ue”

Pubblicato il 7 Giugno 2010 - 09:04 OLTRE 6 MESI FA

Maurizio Sacconi

Sulle pensioni non c’è niente da fare. Le donne andranno in pensione a 65 anni come gli uomini, l’Unione europea non torna indietro. A confermarlo è lo stesso ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che dopo l’incontro con il vicepresidente dell’Esecutivo europeo, Viviane Reding dice: “Sull’innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel pubblico impiego “non c’é alcuno spazio di trattativa” con la Commissione Europea.

A questo punto, ha aggiunto il ministro, “decideremo giovedì in Consiglio dei Ministri cosa fare”. Probabile che l’innalzamento dell’età pensionabile dal primo gennaio 2012, così come chiede la commissione Ue, entri nella manovra economica: “E’ questo il veicolo che attualmente abbiamo a disposizione”, ha concluso Sacconi.

Sacconi ha spiegato come “non c’é aria di sconti”: “La posizione della Commissione Ue nel chiedere il rispetto della sentenza della Corte europea di giustizia Ue e nel rigettare ogni tipo di gradualità è molto ferma. La richiesta è quindi quella di equiparare l’età pensionabile tra uomini e donne nel settore pubblico al massimo entro il primo gennaio 2012”. Il rischio, se l’Italia non dovesse adeguarsi in fretta, è quello “di pesanti sanzioni”.

“Siamo di fronte a un qualcosa che non dipende dalla volontà del governo”, ha proseguito il ministro, rassicurando, comunque, come “la sentenza della Corte Ue si limita al settore pubblico e non tocca minimamente né potrà riguardare il settore privato”. Sacconi ha spiegato che l’innalzamento immediato dell’età pensionabile delle donne della pubblica amministrazione “avrebbe sulla manovra economica un’incidenza molto modesta e contenuta, visto che le donne interessate dal cambiamento delle norme sarebbero solo 30.000 il primo anno.

Dobbiamo comunque ancora fare i conti”. Per il ministro sarà il Cdm a decidere dove inserire le norme, “ma è chiaro che la manovra economica è il veicolo più immediato e tempestivo” attualmente a disposizione del governo. Il ministro ha detto di aver già informato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e il ministro per la funziona pubblica, Renato Brunetta. Ha quindi assicurato che nei prossimi giorni saranno sentite le parti sociali. E a proposito della possibile reazione dei sindacati ha affermato: “Non conviene mai scioperare contro la pioggia”.

Donne della pubblica amministrazione in pensione a 65 anni e non più a 60 entro il 2012, così come chiesto dall’ultimatum di Bruxelles, dunque. Una decisione che potrebbe scaturire dal tavolo del prossimo consiglio dei ministri, il governo è infatti ormai alla stretta finale, come annunciato lunedì dal ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta. “Prenderemo una decisione e la prenderemo velocemente, probabilmente al prossimo consiglio dei ministri”, ha detto ai microfoni di radio Rtl.

“Si tratterà di trovare una giusta mediazione”, aveva detto il ministro Brunetta riferendosi all’incontro in Lussemburgo tra il ministro Sacconi ed il vicepresidente della Commissione Ue Reding.

Bruxelles, con una lettera inviata la scorsa settimana a Roma, chiede di attuare immediatamente la sentenza della Corte Ue di giustizia del 2008, in cui si intima all’Italia di alzare l’età delle dipendenti pubbliche da 60 a 65 anni, come avviene per i loro colleghi maschi.

Arrivando a Lussemburgo Sacconi ha ricordato come il governo ha già previsto un innalzamento graduale dell’età pensionabile delle donne nel settore pubblico, portandola a 65 anni entro il 2018. “Ma la Commissione Ue ci contesta proprio questa gradualità, che tra l’altro era stata concordata con il precedente commissario europeo”, ha ammesso il ministro al suo arrivo nel Granducato, sottolineando come “la comunicazione che ci è arrivata da Bruxelles non sembra lasciare molti margini di manovra. Anzi, minaccia la necessità di rimborsare i lavoratori di sesso maschile”.

“Mi sembra che la lettera che Bruxelles ha inviato alle autorità italiane – ha osservato da parte sua Sacconi – sia molto ferma nel chiedere l’immediata equiparazione nel settore pubblico, e sottolineo pubblico. In questo caso l’aspetto che avevamo cercato di attenuare con l’equiparazione graduale, di cui discuteremo con la commissaria Reding, era proprio quello di un immediato passaggio a un regime diverso in un ambito, quello del pubblico impiego, nel quale peraltro vige la sicurezza del posto di lavoro”.

“Dall’Ue ci viene contestata una gradualità che tra l’altro era stata concordata col precedente commissario europeo”: ha detto Sacconi. “Il Consiglio dei ministri valuterà la posizione della Commissione europea, che a noi sembra ancora troppo ancorata alla sentenza della Corte europea di giustizia”. Il ministro ha spiegato come l’Italia cerchi di arrivare ad un compromesso che sia basato sul concetto di gradualità, anche se – ha ammesso Sacconi – “la comunicazione che ci è arrivata dalla Commissione europea non sembra lasciare molto margine a questo tipo di soluzione. Anzi, minaccia la possibilità di rimborsare i lavoratori di sesso maschile”.

D’altra parte, ha ricordato Brunetta, sono decisioni che “coinvolgono decine di migliaia di cittadini, non si può dire con un tratto di penna, ‘da domani tu non vai in pensione quindi rimani ancora per 5 anni’, si tratta di 20-30mila uscite l’anno, “persone, famiglie, storie, non si può dire: abbiamo scherzato”. Per rispettare pienamente la sentenza della Corte di giustizia europea, la Ue chiede all’Italia di abrogare il periodo di transizione di otto anni e di “sanare immediatamente una situazione che dura da anni e che per la legge comunitaria è discriminatoria”, ha spiegato nei giorni scorsi il portavoce della Reding.

“Speriamo che non si debba arrivare a una nuova condanna dell’Italia”, ha aggiunto. A fronte dell’ultimatum di Bruxelles, Brunetta ha voluto rimarcare, nella consueta trasmissione domenicale su Rtl, come un anno e mezzo fa “fui coperto dagli insulti dell’opposizione e delle pseudointellettuali della sinistra salottiera quando dissi che bisognava rispettare la sentenza della Corte di giustizia usandola come occasione per riequilibrare il ruolo della donna, non mandandola in pensione in età per poter fare poi la baby sitter, ma in pensione all’età giusta”.