Pensionati tassati al 60%, media Italia 45%, o abbassano le tasse o ripresa zero

di Sergio Carli
Pubblicato il 21 Aprile 2015 - 08:22 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni: tasse al 60%, gli altri 45%, o le abbassano o ripresa non c'è

Come è cresciuto il Pil dell’Italia a confronto con quello del resto d’Europa dal 1995 al 2012

ROMA – Abbassare le tasse per rimettere in moto l’economia italiana? Abbassare le tasse a chi? Solo ai “poveri” o a tutti? Solo ai poveri incluse larghe schiere di evasori o anche a chi, avendo redditi alti, inclusi gli odiati capi d’azienda e gli ancor più odiati e invidiati pensionati d’oro, oggi paga dosi di imposte uniche al mondo?

La domanda è ardita e sfida un luogo comune, ma a dimostrare che abbia un senso c’è più di una ragione.

Partiamo da un dato di fatto: c’è una parte importante di cittadini italiani, i pensionati di fascia alta, su cui grava un carico fiscale che gira attorno al 60%, senza contare le varie Imu e mutazioni.
Li hanno chiamati pensionati d’oro: la loro colpa è di avere avuto ruoli importanti, responsabilità maggiori, versato più contributi e quindi anche acquisire il diritto a una pensione superiore agli altri. Tanto superiore? Tanto superiore. Ma fuori dei Paesi del socialismo reale queste sono le regole.

Il socialismo reale non c’è più, è rimasta solo l’Italia, che paga la soffocante pressione fiscale con un gap economico rispetto al resto d’Europa che si riassume in queste cifre: il pil del resto d’Europa è cresciuto in 20 anni del 38%, quello italiano è cresciuto della metà finché è cresciuto, per poi scendere, dal 2007 a oggi, precipitando nell’infausto periodo del Governo Monti e attestandosi ai livelli del 2001. Mentre il resto d’Europa si è rimesso in marcia, l’Italia ha continuato a cadere. Fatto 100 il valore del 1995, uguale per tutti, il pil oggi è in Italia poco sopra 110, in Europa, nella media che esclude l’Italia, poco sotto 140.

Dal 1995 l’Italia, ha scritto Ugo Arrigo su Leoniblog illustrando il grafico che riportiamo,

è sempre cresciuta di meno del resto dell’UE (tranne nel 1999-2000)”.

Sarà un caso ma in quegli anni l’Italia agganciava una fase di espansione mondiale, che l’aveva elusa per quasi un decennio a causa delle feroci politiche propagandistiche prima ancora che fiscali messe in atto da Carlo Azeglio Ciampi e Giuliano Amato, stabilendo il modello per il peggiore di tutti, Mario Monti, un ventennio dopo. La molla che permise all’Italia di reinserirsi nel ciclo fu la riduzione delle tasse sulle fasce più alte, dal 51% al 45,5% fatta da Vincenzo Visco, allora ministro delle Finanze e ancora fuori dalla nefasta influenza dei suoi consiglieri più rigidamente comunisti.

L’analisi di Ugo Arrigo prosegue così:

“Dal 1995 al 2007, ultimo anno per noi pre recessione, avevamo cumulato una crescita complessiva del 20% (contro il 38% del resto dell’Unione) ma circa metà di essa è andata perduta nel biennio 2008-9 e il piccolo recupero del 2010-11 è stato interamente bruciato dalla recessione fiscale italiana del 2012. Risultato? Mentre nel 2012 il resto dell’Unione (nonostante comprenda tutti i paesi problematici tranne noi) ha recuperato integralmente il livello di Pil del 2007 noi non abbiamo recuperato assolutamente nulla e il nostro Pil è ritornato quest’anno allo stesso livello del 2001, indietro di tre legislature politiche.

Ma c’è di peggio. Infatti in questo periodo la popolazione italiana è cresciuta e in conseguenza i dati relativi al Pil pro capite segnalano un arretramento più consistente”.

Ci vuole un gesto di coraggio, accompagnato da un coraggio ancora più grande, quello di affrontare la spesa pubblica, che continua a crescere a dispetto di quattro anni di spending review. Abbassarle di poco e solo ai “poveri” non basta, lo prova il fallimento come stimolo per la ripresa degli 80 euro elargiti da Matteo Renzi a spese della maggioranza degli italiani, utili per togliere voti a Beppe Grillo ma ormai accertati inutili per la ripresa dei consumi.

Abbassare le tasse e tagliare la spesa pubblica inutile rimetterebbe in circolo denaro per la ripresa, creando posti di lavoro produttivi, al contrario della ricetta seguita finora, di spremere una parte dei cittadini per creare posti di lavoro inutili e non produttivi, in assenza di un reale aumento del reddito.

I pensionati non sono soli a portare la croce del Fisco.

Altri, i lavoratori dipendenti che hanno la colpa di guadagnare più di duemila euro netti al mese, pagano meno, ma la media fa 44%. Lo schema delle aliquote è questo, rappresentato dal commercialista telematico.com

redditi fino a 15 000 euro, aliquota al 23%;
tra 15 000 e 28 000 euro, aliquota al 27% (più rapidamente: 3.450 + 27% della parte eccedente 15.000);
tra 28 000 e 55 000 euro, aliquota al 38% (più rapidamente: 6.960 + 38% della parte eccedente 28.000);
tra 55 000 e 75 000 euro, aliquota al 41% (più rapidamente: 17.220 + 41% della parte eccedente 55.000);
oltre i 75 000 euro, aliquota al 43% (più rapidamente: 25.420 + 43% della parte eccedente 75.000).

Dove finisce questo oceano di denari? In parte a pagare lo stipendio di milioni di dipendenti pubblici, in parte per servizi di cui i cittadini godono (sanità inclusa), in parte in sprechi e ruberie.
Con un carico fiscale di questo genere, difficilmente l’Italia si riprenderà.