Vade retro shopping: il sindacato-chiesa scopre i “valori non negoziabili”. Sciopero contro negozi aperti il 1 di maggio

di Riccardo Galli
Pubblicato il 28 Aprile 2011 - 15:10 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Lavorare nel giorno della festa dei lavoratori non si può, punto. Per Susanna Camusso, segretario della Cgil, si tratta di “valori non negoziabili” e, con lei, i sindacati sono pronti allo sciopero pur di mantenere le saracinesche dei negozi abbassati il primo maggio. Sarà sciopero a Milano e a Roma i sindacati danno indicazione di non presentarsi al lavoro. La festa è un diritto e non si discute: negozio aperto uguale attacco ai diritti dei lavoratori e, sempre per dirla con la Camusso: “lo shopping non è un diritto sociale”. Ma gli autisti dei mezzi pubblici? Loro lavorano, non si può restare a piedi. I baristi anche, il 1 maggio è festa e una ricca colazione fuori non si nega a nessuno. Per non parlare di medici, infermieri e poliziotti. Certo, per queste categorie è diverso, sono mansioni di pubblica utilità. Ma anche i bigliettai dei cinema lavorano così come i tecnici che allestiscono il concerto del primo maggio, organizzato proprio dai sindacati, come i loro colleghi giornalisti e non che quel concerto trasmetteranno in diretta. Ma i negozianti, i commessi, gli addetti al consumo no, non devono lavorare.

Somiglia più ad un’impuntatura di principio che ad una battaglia sui valori l’intransigenza sindacale sulla possibilità di lavorare il primo maggio. E sembra anche un non senso. Non si spiega infatti il perché moltissime categorie di lavoratori possano lavorare il primo maggio e i commercianti no. Chiaro è che il giorno della festa dei lavoratori è un giorno festivo e come tale chi lavora in questa data deve farlo volontariamente e deve essere pagato più che in un giorno normale. Ma se si tratta di lavoro volontario, e con una retribuzione adeguata alla festività, non si vede ragione al mondo per cui non si possa lavorare. Ed infatti nel resto del mondo si lavora così come lavorano molti italiani. Di certo, come sostiene la Camusso, se i consumi sono in calo questo non è dovuto ai giorni festivi in cui i negozi sono chiusi, ma questo non elimina il fatto che i negozi potrebbero rimanere aperti perché, se come sostiene il segretario della Cgil lo shopping non è un valore, di certo è un piacere più facilmente espletabile fuori dall’orario dell’ufficio. Nel nostro strano paese persino il campionato si ferma, ad esempio a Pasqua e a Natale, quando in altri paesi, di sicura tradizione democratica e che anzi sono stati la culla dei sindacati, come la Gran Bretagna, nelle festività si gioca.

A Milano Filcams-Cgil, Uiltucs-Uil e Fisascat-Cisl  hanno appena indetto la protesta contro la deroga che consente l’apertura di tutte le attività di vendita, concessa, fra le polemiche, dal Comune. Il sindaco Letizia Moratti si era detta “meravigliata” per la reazione dei sindacati, affermando che la scelta di consentire l’apertura dei negozi è un modo per tutelare il lavoro.

A Firenze, come a Milano,  la decisione del Comune di dare il via libera all’apertura delle saracinesche ha spinto i sindacati a proclamare uno sciopero del commercio il 1° Maggio: manifestazione da piazza Santa Croce a piazza della Repubblica alle 10, e si protesterà anche nelle altre città della Toscana. Contro quel “destrorso” del sindaco Renzi che vende l’anima alle ragioni del dio, anzi diavolo-mercato.
A Roma, dove il 1 maggio si celebra anche la beatificazione del Papa, è scontro fra commercianti e sindacati. Cgil invita i negozianti alla serrata di “disubbidienza” perché la Festa del lavoro “va rispettata”. “Abbiamo dato indicazioni ai lavoratori degli esercizi commerciali di non presentarsi il Primo maggio”, ha detto ieri il segretario generale della Filcams-Cgil di Roma e Lazio Vittorio Pezzotti, lanciando così il boicottaggio dell’ordinanza che permette ai negozi in alcune zone della città di tenere le saracinesche aperte in occasione della beatificazione di Wojtyla. Immediata la replica di Cesare Pambianchi, presidente della Confcommercio romana: “La dichiarazione di Pezzotti è di una gravità assoluta”. Pambianchi invita “i titolari degli esercizi commerciali ad adottare con la massima intransigenza, laddove ricorrano i presupposti, tutti i provvedimenti previsti dalla normativa contrattuale contro coloro che non si recheranno domenica al lavoro”. Niente sciopero ma scontro aperto.

Situazione simile a Bologna: da un lato c’è la richiesta del Comune di lasciare le saracinesche alzate “per aiutare la ripresa dei consumi”. Dall’altra il sindacato, convinto che il giorno della Festa dei lavoratori i dipendenti debbano restare a casa o andare in piazza. Fra i due contendenti ci sono i commercianti bolognesi che quest’anno sono meno disponibili dell’anno scorso a fare gli straordinari. Sulla questione è intervenuta anche la Confesercenti tramite il suo direttore Loreno Rossi: “Chi resterà aperto il Primo maggio? Le stesse attività che sono aperte le altre domeniche, quindi pochissime”.

E si litiga anche a Torino dove l’assessore al Commercio Alessandro Altamura ha deciso: “Serrande alzate, siamo una città turistica e ci sono le celebrazioni dei 150 anni”. Anche nel capoluogo piemontese la Cgil è scesa sul piede di guerra. “Non siamo affatto d’accordo con la decisione dell’assessore Altamura  –  dice la segretaria generale della Filcams-Cgil Torino, Elisabetta Mesturino.  –  e lo inviteremo a ripensarci. È in atto una forte polemica a livello nazionale con il sindaco di Firenze Renzi, ma eravamo convinti che a Torino non avremmo avuto problemi di questo tipo. Invece ora arriva questa scelta, che contraddice la stessa delibera approvata dal Comune a dicembre”.

A Genova situazione invece più tranquilla. La decisione di dare il via libera all’apertura delle saracinesche non ha suscitato scontri. Negozi aperti il primo maggio nella zona dell’Expò e di via San Lorenzo, a Genova. “E’ la stessa situazione del giorno di Pasqua  – spiega l’assessore al Commercio Gianni Vassallo – la deroga valeva infatti per tutta la durata di Euroflora, che per caso coincide appunto con due delle festività di chiusura del calendario commerciale”.

Festa blindata a Bari con negozi rigorosamente chiusi. Il fatto che il Primo Maggio cada di  domenica ha rafforzato la tesi, nel capoluogo di regione, secondo cui le saracinesche degli esercizi commerciali debbono rimanere abbassate. Qualche polemica si registra invece nel Salento e in particolare a Lecce, complice il fatto che nell’ultimo weekend il ‘tacco d’Italia” è stato preso d’assalto dai turisti, anche stranieri, e che qualche commerciante che aveva deciso di tenere aperto il proprio negozio è stato multato.

Decisioni sofferte e contrastate e polemiche più o meno ovunque, il canovaccio della questione è simile in tutta Italia. Grandi assenti della questione, come spesso accade, la logica e il buon senso. Il 1 maggio è un giorno di festa, logico che gli uffici siano chiusi. Buon senso vorrebbe che musei e cinema, teatri e concerti, ristoranti e negozi fossero aperti per accogliere tutti coloro che del giorno di festa godono. Gli italiani in vacanza ne sarebbero felici e gli italiani che in quel giorno lavorano, volontariamente, intascherebbero qualche euro in più, ma siamo in Italia. Paese dove il sindacato si fa chiesa e scopre “valori non negoziabili”, paese dove lo shopping è pensato come attività futile e pochi sono sfiorati dall’idea che quel che si vende o non si vende nei negozi null’altro è che le merci prodotte dai “produttori” nelle fabbriche, paese dove un sondaggio fatto sul sito del La Repubblica, presumibilmente tra un campione di opinione pubblica progressista e riformista rivela che due su tre considerano sbagliato e in qualche modo sacrilego il negozio aperto il giorno della festa. Paese in cui ci si fa un punto di “onore civile” restar chiusi. Resistere, resistere, resistere: stavolta a che nulla cambi e nulla si muova e che tutto resti così come era ieri.