Tremonti: “Dal 2015 divieto in Costituzione di fare debito pubblico”. Praticamente la Rivoluzione

di Sergio Carli
Pubblicato il 30 Marzo 2011 - 15:12 OLTRE 6 MESI FA

ROMA-Forse perché lo ha detto all’ora di sera, sul tramonto di giornali e telegiornali. Forse per questione di orario nessuno o quasi ha “sentito” Giulio Tremonti che parlava alla Commissione Bilancio della Camera. O forse nessuno o quasi ha “sentito” perché era roba troppo grossa per prestare orecchio e, si sa, non c’è miglior sordo di chi non vuol sentire. Oppure ancora, ipotesi da non scartare, il ceto politico, la classe dirigente e la società italiana cose del genere non sono proprio in grado di “sentirle”. Da un orecchio le entrano e dall’altro le escono, ma non per indifferenza e superiorità, ma per congenita e acquisita sordità, incapacità di sentire. Ha detto Tremonti che l’Italia deve cambiare la Costituzione. Non per metterci dentro i poteri del premier, i limiti alla magistratura, l’autonomia delle Regioni. Queste son cose che sentiamo da anni e decenni. Deve cambiare la Costituzione per metterci dentro il divieto a far debito, a contrarre debito pubblico. Più o meno, anzi più che meno la Rivoluzione.

Ha detto Tremonti che dal 2015  l’Italia, il governo, il Parlamento, le maggioranze, le Regioni, i Comuni non devono più fabbricare debito pubblico. E che quindi i sindacati, gli industriali, i dipendenti pubblici, i commercianti, i comitati, i cittadini, i movimenti, la società civile e l’arcipelago delle corporazioni devono smettere di chiedere di crearlo quel debito. La Rivoluzione appunto, con la maiuscola. Ha detto Tremonti che il divieto di fabbricare debito va messo in Costituzione perché ogni altra legge non basta e perchè conosce i suoi polli: sa che senza il divieto posto al massimo del patto sociale, senza il blocco alla fonte, l’Italia direbbe di sì al divieto e continuerebbe a fabbricare debito. Chissà se i parlamentari in quella Commissione ascoltando si sono resi conto che con quel divieto dovrebbe cambiare i suoi connotati tutta la politica, tutto il modo di raccogliere consenso e voti, tutto l’essenza della politica attuale che è solo e soltanto distribuzione di pubblico denaro. E chissà cosa Berlusconi avrà pensato, e compreso fino in fondo, quando Tremonti deve averglielo detto faccia a faccia. Il premier avrà pronunciato un sì tanto convinto quanto distratto. Ma non è che Bersani o Casini o Vendola a tale notizia avranno reagito diversamente: l’Italia del debito ha altri quattro anni scarsi di vita, alla politica attuale quattro anni appaiono più o meno l’eternità, nel 2015 si vedrà.

Ma ci sono davvero altri quattro anni scarsi per l’Italia così come è ora, per l’Italia del debito? Tremonti ha detto: fino al 2015 dobbiamo azzerare il deficit. Poi, dal 2015 in poi smettere di fare debito. Tito Boeri economista su Repubblica legge diversamente la lettera e lo spirito degli ultimi accordi europei, sostiene che nel 2015 non basterà solo smettere di creare debito, occorrerà anche ridurlo se da qui ad allora si è continuato ad accrescerlo. Insomma dice Boeri che la rivoluzione, caso mai con la minuscola, deve cominciare subito. Cioè trovare circa dieci miliardi all’anno da subito per frenare il debito. Si può fare, sono d’accordo Tremonti, Boeri e tutti gli economisti e governanti, se c’è la “crescita”, cioè un Pil nazionale che cresce al ritmo minimo del due per cento annuo. Se c’è questa crescita e non aumenta la spesa corrente, si può fare. Per il 2011 e 2012 il Pil italiano è previsto in crescita tra l’uno e l’uno e mezzo per cento. Allora non si può fare?

Se non si può fare del tutto, Tremonti spera, anzi è convinto che si possa fare a metà o in quota parte. Pensa Tremonti che presentarsi al 2015 con un debito pubblico non già limato e ridotto sia possibile per l’Italia perché l’Italia ha alto debito pubblico ma basso debito privato. Tradotto: lo Stato è pieno di debiti ma chi deve prestarci i soldi non teme di non essere pagato perché alta è la quota di ricchezza privata degli italiani. La garanzia che lo Stato pagherà è per i mercati nei patrimoni privati degli italiani. Vero, ma questa è una “patrimoniale potenziale”. Sempre potenziale e mai effettiva: su questo sottile equilibrio, su questo filo sospeso cammina la strategia e la speranza di Tremonti: accompagnare l’Italia alla Rivoluzione del 2015, quella di un paese che non implora, pretende, contratta, distribuisce soldi pubblici a debito.