Sabrina, Sarah e i coniugi Bebawi: solo una cordicella unisce i due delitti

di Pino Nicotri
Pubblicato il 24 Ottobre 2010 - 12:46 OLTRE 6 MESI FA

Claire Bebawi si congratula col suo difensore Giuseppe Sotgiu dopo l'assoluzione

Di recente mi sono soffermato sul paragone tra lo scaricabarile dei Misseri che hanno ucciso Sarah Scazzi e quello che nel 1966 portò all’assoluzione a Roma dei coniugi Claire e Yussuf Bebawi, egiziani, che il 16 gennaio di due anni prima, 1964, avevano ucciso nel suo appartamento in via Lazio 9 il libanese Faruk Chourbagi (a volte scritto Gourbagi), da tre anni amante di Claire.

Ma tra i due casi c’è anche un’altro elemento di analogia: la cordicella. Nel caso dei Misseri si tratta della cordicella con la quale è stata vigliaccamente e ferocemente strangolata Sarah, dopo averla immobilizzata, nonostante piangesse e chiedese di non essere uccisa. Nel caso dei Bebawi la cordicella era invece quella con la quale la signora Claire apriva la porta dell’appartamento di Faruk, 27enne affascinante e ricchissimo, anche quando non ne aveva con sé la chiave. La corda con la quale è stata tolta la vita a Sarah non si trova più, il suo zio assassino prima ha detto di averla buttata in un cassonetto e poi di averla bruciata. La corda della porta di casa Chourbagi invece era rimasta al suo posto e rappresentava di fatto la firma di Claire Bebawi come assassina.

Il giovane libanese quando aspettava la sua amante ed era già pronto a fare sesso sistemava fuori dalla porta di casa un breve tratto di cordicella. Si tratta di un antichissimo metodo, che risale ai tempi in cui ci si poteva fidare del prossimo e le chiavi non servivano: un uso immortalato da una vecchia canzone genovese, rilanciata di recente da Gino Paoli, “a’ i me tempi/ quando a porta/ a ‘arviva co o spaghetto…”

Ma i tempi sono cambiati e se Faruk Courbagi ne fosse stato consapevole forse sarebbe ancora vivo. Ma lui, preso dal suo fervore erotico, aveva messo le cose in modo che tirando lo spaghetto venisse spostata l’asta che teneva chiusa la porta al posto della serratura, permettendo così a Claire, e forse anche ad altre amanti, di entrare in silenzio e di “sorprendere” Farouk già pronto all’uopo in camera da letto.  Faruk era un tombeur de femmes e Claire ne era molto gelosa, tanto da averlo minacciato per telefono pochi giorni prima di quel sabato 16, giorno in cui o lei o il marito scaricò sul libanese un intero caricatore di pistola calibro 7,65 per poi sfregiargli il viso con del vetriolo.

Nonostante la stanza fosse piccola, solo quattro colpi andarono a segno. Poiché Yussuf era un ottimo tiratore, difficilmente poteva essere stato lui lo sparatore. Inoltre sua moglie quando venne arrestata, pochi giorni dopo il delitto, aveva delle bruciature alle mani, molto probabilmente dovute all’uso del vetriolo per sfregiare la vittima. Un testimone aveva visto Yussuf fermo sul marciapiedi davanti al portone di via Lazio 9. E Yussuf, una volta arrestato, dichiarò alla polizia che aveva sì accompagnato sua moglie davanti al portone dell’amante, ma che era rimasto in strada ad aspettarla mentre lei saliva in casa Chourbagi: “Quando Claire è tornata in strada era sconvolta e mi ha confessato di avere ammazzato Chourbagi”. Claire invece dichiarò che suo marito l’aveva sorpresa in casa di Faruk e che sconvolto dalla gelosia lo aveva ucciso per poi sfregiarlo in segno di disprezzo.

Difesi rispettivamente da principi del foro come Giovanni Leone e Giuliano Vassalli, destinati a diventare presidente della Repubblica il primo e ministro della Giustizia il secondo, e Giuseppe Sotgiu, altro grande penalista dell’epoca, i coniugi Bebawi vennero assolti per insufficienza di prove (in secondo grado e in Cassazione vennero invece condannati a 22 anni di carcere ciascuno, ma ormai erano riparati all’estero e restarono liberi). Eppure che l’assassina fosse stata lei era provato dalla cordicella. La segretaria che lunedì 18 scoprì il cadavere di Chourbagi la trovò infatti al suo posto, con la porta chiusa. Solo una amante del padrone di casa poteva averla messa a posto a quel modo. Ed è un fatto che la sua amante Claire Bebawi fosse salita nel suo appartamento e avese le mani bruciate dal vetriolo utilizzato per sfregiarlo. Insomma, quella cordicella era la firma dell’assassina, cioè della signora Bebawi. La cui bellezza, unita al fascino di cui spesso i ricchi risplendono, e Claire e il marito erano molto ricchi, conquistò i giurati e il pubblico più della giustizia e della pietà per la vittima. Quando venne letta in aula la sentenza di assoluzione per insufficienza di prove, il pubblico scoppiò infatti in un lungo applauso.

Se la cordicella è il secondo elemento di somiglianza tra il caso Bebawi e il caso Misseri, c’è però una netta differenza. Nel primo caso erano tutte persone di grande bellezza, fascino e conoscenza del mondo, sia gli assassini che la vittima. Nel secondo caso invece l’unica persona bella dentro e fuori era la vittima, fresca e innocente, mentre i Misseri brillano per la grande bruttezza estetica e la miseria interiore, da trogloditi incistati nella dimensione strapaesana e quasi cavernicola nonostante il benessere postmoderno.