David Van Reybrouck: Contro le Elezioni, ecco la recensione di Girolamo Stabile

di Girolamo Stabile
Pubblicato il 24 Marzo 2017 - 11:48 OLTRE 6 MESI FA
David Van Reybrouck. Contro le Elezioni

David Van Reybrouck. Contro le Elezioni

David Van Reybrouck con il suo libro “Contro le elezioni – perché votare non è più democratico” (Feltrinelli) si propone di utorenalizzare la sindrome di stanchezza di cui sembrerebbe affetta la democrazia occidentale. Sindrome, questa, secondo cui i sistemi elettorali tradizionali sono in crisi, i cittadini, tendenzialmente, partecipano sempre meno a libere elezioni mediante l’astensionismo e sono sempre più inclini ad assecondare retoriche populiste.

Le diagnosi di questa patologia sono comunemente tre e si possono sintetizzare nei termini che seguono.

La prima diagnosi identifica i politici come causa determinante. Più in dettaglio, secondo questa analisi, i politici sarebbero dei carrieristi, dei parassiti, degli approfittatori lontani dalla realtà e, soprattutto, dai bisogni della gente. In altri termini, l’attuale classe dirigente rappresenta una elitè democratica, una casta avulsa dai bisogni e dalle rivendicazioni della gente comune.

Queste accuse sono utilizzate dai c.d. populisti secondo i quali il rimedio più efficace contro la sindrome di stanchezza democratica sarebbe una migliore rappresentanza nazionale, più popolare. Una sorta di incarnazione del senso comune lontano e distinto dal c.d. politico di professione. Secondo la tesi sostenuta dai leader dei maggiori partiti politici populisti europei, tra i quali l’autore identifica Silvio Berlusconi, Geert Wilders, Marine Le Pen, Nigel Farage e Beppe Grillo, il nuovo politico (o il politico populista) è tutt’uno con il popolo che rappresenta, in quanto, diretto interprete delle volontà popolare.

Risulta evidente che il messaggio politico dei populisti specula su un sentimento diffuso tra gli elettori. In aggiunta, l’idea che ci si possa fondere organicamente con la massa e con i propri bisogni e/o desideri mutevoli rientra nel catalogo del misticismo piuttosto che della politica. Pertanto, queste nuove(o supposte nuove) forze politiche non sempre hanno un pensiero alla base ma solamente una efficace azione di marketing e comunicazione politica.

Ciò posto, occorre tuttavia notare che la critica posta dai populisti alla classe politica di tipo tradizionale e/o professionale si basa su di un assunto vero e profondamente condiviso dal popolo. La rappresentanza nazionale attuale ha un problema di legittimità. Pertanto, ridurre il populismo a una mera forma di anti-politica non sembra corretto. Dunque: gente nuova in Parlamento!

La seconda diagnosi effettuata da David Van Reybrouck in “Contro le elezioni” identifica la lentezza e la complessità del processo decisionale democratico come causa determinante. La democrazia (o meglio, la rappresentanza politica democraticamente eletta), oltre ad essere affetta da una crisi di legittimità viene percepita anche non efficiente. Di conseguenza, la tecnocrazia viene percepita come il rimedio secondo cui i tecnocrati sono dei manager che sostituiscono i politici: non devono occuparsi di elezioni, possono riflettere sul lungo termine e, dunque, possono anche annunciare misure rigide, non popolari secondo una sorta di ingegneria civica di gestione dei problemi.

Tuttavia, l’efficacia non genera necessariamente legittimità. A supporto di questa tesi l’autore ricorda l’esperienza di Mario Monti, apprezzato tecnocrate ma politico di scarso successo elettorale. La tecnocrazia è utile in limitate fasi di transizione o di particolare crisi in cui occorre privilegiare l’efficacia rispetto alla legittimità. Tuttavia, la fredda amministrazione (intesa come politica economica) nell’interesse del popolo da sola non basta ed oltre ai conti bisogna saper considerare anche questioni etiche e sociali. La politica non può essere ridotta a mera azione gestionale e quindi, ad un certo punto, occorrono le elezioni.

La terza diagnosi identifica l’attuale forma di democrazia rappresentativa come causa determinante. A questo proposito, un possibile rimedio sembrano essere le azioni dimostrative e di protesta da Occupy Wall Street agli Indignados. Più in dettaglio, forme spontanee di affermazione in cui il popolo (o parte di questo) eserciti una democrazia diretta ispirata da una cultura di lotta democratica.

Alla fine di questo elenco, in “Contro le elezioni” l’autore David Van Reybrouck indica come i tre rimedi, per così dire, noti per le diagnosi appena sopra elencate siano pericolosi: il populismo è pericoloso per la minoranza, la tecnocrazia è pericolosa per la maggioranza e l’anti-parlamentarismo è pericoloso per la libertà. Nel corso degli ultimi anni sono state avanzate diverse proposte per rafforzare la democrazia rappresentativa. Ad esempio, norme sul conflitto di interessi degli eletti, norme sul finanziamento dei partiti, etc. Tuttavia, tutte queste proposte non hanno risolto completamente il problema, questo in quanto la sindrome di stanchezza democratica non sarebbe determinata dalla democrazia rappresentativa in quanto tale, ma da una sua variante: la democrazia rappresentativa elettiva. La democrazia che instaura la rappresentanza popolare mediante elezioni.

Su questa base, l’autore propone una nuova (e quarta) diagnosi. I termini “elezioni” e “democrazia” sono divenuti sinonimi quasi per tutti, nel senso che è condiviso da tutti il fatto di essere rappresentati mediante elezioni. Questo principio è peraltro contenuto anche nella Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948, secondo cui: “La volontà del popolo è il fondamento dell’autorità dei poteri pubblici: questa volontà deve essere espressa con elezioni serie che che devono essere tenute periodicamente”.

Tuttavia, la crisi di questo paradigma sembra rappresentato dal fatto che tutti venerano le elezioni e simultaneamente ne disprezzano il lineare prodotto, vale a dire, gli eletti!

I fondamentalisti delle elezioni sostengono che una democrazia non sia concepibile senza elezioni e rifiutano di vedere le elezioni come un metodo che contribuisce alla democrazia. In aggiunta, la diplomazia internazionale tende ad esportare questa ricetta anche in paesi duramente colpiti da regimi, come ad esempio, il Congo, l’Iraq, l’Afghanistan, [la Libia, l’Egitto]. Un tipo di esportazione, questa, che sembra non considerare le difficoltà di implementazione delle elezioni in stati fragili. Il fatto che le elezioni non favoriscano necessariamente una democratizzazione, ma possano frenarla è spesso dimenticato. In altri termini, le elezioni sono un metodo di applicazione della democrazia ma non tutti i Paesi del mondo devono necessariamente applicarlo o applicarlo con i medesimi effetti positivi da tutti riconosciuti.

L’ossessione per le elezioni è curiosa considerando che la democrazia si sperimenta da circa tremila anni e le elezioni da duecento. Ne deriva, secondo l’opinione dell’autore, una consuetudine da tutti condivisa secondo cui le elezioni sono considerate l’unico metodo valido e ovunque applicabile.

È innegabile che le elezioni nel corso degli ultimi due secoli abbiamo funzionato particolarmente bene, rendendo la democrazia possibile. Quello che, tuttavia, viene sottovalutato o dimenticato è l’origine delle elezioni e il fatto che queste siano nate in un contesto diverso da quello in cui sono utilizzate oggi. Pertanto, al fine di fornire una visione retrospettiva delle elezioni, Van Reybrouck parte dai sostenitori della rivoluzione americana e francese dove le elezioni erano il metodo per conoscere la “volontà del popolo” in assenza di partiti politici, di una legge sul suffragio universale e di mezzi di comunicazione di massa fino ad arrivare ad oggi, un’era post-democratica, in cui la comunicazione ha preso il sopravvento, la campagna elettorale è uno spettacolo organizzato nei minimi dettagli, la maggioranza dei cittadini gioca quasi un ruolo passivo. In aggiunta, i social media hanno amplificato gli effetti della comunicazione post-democratica. In sintesi, in un’epoca caratterizzata da crisi economiche, un sistema mediatico scatenato e una cultura in continua evoluzione, aggrapparsi solamente alle elezioni significa quasi “seppellire deliberatamente la democrazia”.

In alternativa, l’autore ripropone l’introduzione di una procedura democratica applicata dall’antichità al rinascimento per eleggere il potere legislativo, esecutivo e giudiziario: il sorteggio!

Un metodo, questo, secondo cui i cittadini sorteggiati non dovrebbero preoccuparsi di partiti, di campagne elettorali, di comunicazione politica ma solo dell’amministrazione del potere per cui sono stati sorteggiati nel solo interesse del popolo. In altri termini, il soggetto sorteggiato non avendo statisticamente un futuro (o una carriera politica) si limiterebbe ad esercitare al meglio il periodo in cui è stato chiamato a svolgere una funzione pubblica per mezzo e per effetto del sorteggio.

La forza dirompente di questa proposta risulta evidente, probabilmente, allo stesso autore che introduce subito una variazione al mero modello del sorteggio, vale a dire un modello bi-rappresentativo e (forse) limitato alla sola azione politica, secondo cui una camera composta da cittadini estratti a sorte farebbe da contraltare ad una camera composta da cittadini eletti. In aggiunta, questo modello sarebbe il miglior rimedio possibile alla sindrome di stanchezza democratica. Ciò in quanto, sarebbe integrata la richiesta dei populisti di una rappresentanza autentica e diretta del popolo, senza l’illusione pericolosa di un popolo monolitico, si potrebbero utilizzare i tecnocrati in modo complementare, evitando il ruolo di supplenti dei politici ed, infine, si permetterebbe la partecipazione diretta dei cittadini evitando l’effetto protesta o anti-parlamentare tipico dei movimenti. In sintesi, si permetterebbe di valorizzare il meglio della democrazia rappresentativa diretta, senza il feticismo elettorale.

In “Contro le elezioni” ottimisticamente David Van Reybrouck individua l’Europa come il posto ideale per sperimentare questa nuova formula, sottovalutando, forse l’attuale clima europeo e la scarsa capacità di coesione degli stati membri.

Per concludere, il libro qui suggerito pone sicuramente una analisi puntuale dell’attuale situazione politica europea, della relativa crisi di rappresentanza e delle conseguenze che questa determina. Aggiunge anche una alternativa probabilmente bizzarra ad una prima lettura ma che, tuttavia, risulta di sicuro effetto, ad esempio, nel panorama delle riforme istituzionali avanzate più o meno con le stesse formule, mai attuate, ma proposte sempre come nuove ed efficaci per il futuro delle istituzioni in generale e di quella italiana in particolare.