Mangiare nel XXI secolo: serre galleggianti, Plant revolution di Mancuso, Favretto, Girardi

di Emiliano Chirchietti
Pubblicato il 31 Dicembre 2017 - 06:08 OLTRE 6 MESI FA
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Mangiare nel XXI secolo: serre galleggianti, Plant revolution di Mancuso, Favretto, Girardi

“ Le piante hanno già inventato il nostro futuro ” recita in sovraccoperta il sottotitolo di questo libro; quanto basta per comprarlo, leggerlo e, almeno nel mio caso, rimanerne appagato.

“ Plant revolution ”, testo divulgativo scritto dallo scienziato neurobiologo Stefano Mancuso, ci introduce nel misterioso mondo delle piante, svelandoci, con rigore e passione, alcune loro straordinarie caratteristiche, che potrebbero, se ben studiate, indicarci la via da seguire per trovare soluzione ai molti problemi che allarmano l’umanità.

Come accade per molti testi scientifici, anche in questo caso, l’edizione è molto curata: rilegato, cartonato con  sovraccoperta plastificata, grammatura consistente delle pagine, patinate, che ben accolgono le belle illustrazioni fotografiche a corredo del testo, e riferimenti bibliografici alla fine di ogni capitolo utili per chi volesse approfondire i temi proposti.

Se l’aspetto « feticistico » viene sicuramente soddisfatto, altrettanto fanno i nove capitoli del libro con la mente del lettore, continuamente sollecitata dalle numerose conoscenze e curiosità che s’infilano come un ago cuce il lembo di una camicia. Ma lo strappo che viene rammendato in questo caso, attiene a qualcosa che è più importante di un tessuto, finanche pregiato. Ciò che progressivamente va a ridefinirsi nella sua unicità è il rapporto tra uomini e piante, nel quale gli uni e le altre sono nel medesimo momento artefici ed eventualmente vittime della loro stessa evoluzione.

La « rivoluzione delle piante » che Mancuso racconta nel libro ruota attorno ad un asse concettuale molto chiaro: “ se vogliamo migliorare la nostra vita non possiamo fare a meno di ispirarci al mondo vegetale ” – si legge nell’aletta anteriore della sovraccoperta.

La tecnologia ad esempio, evidenzia il secondo capitolo, dovrà porsi verso questo mondo con maggiore interesse, favorendo lo sviluppo di approcci “ bioispirati ”, cioè che guardano alla natura per risolvere problemi di tipo tecnologico; oppure l’architettura, capitolo settimo, che utilizzerà nei suoi progetti le stesse soluzioni praticate dalle piante; ma anche le neuroscienze, capitolo primo, potranno, studiando il funzionamento del sistema memonico delle piante, comprendere con maggiore chiarezza le dinamiche dell’intelligenza umana.

Dal grattacielo che dovrà ospitare il Ministero dell’Agricoltura nel Qatar, costruito seguendo i metodi di adattamento delle “ cactacee ”, alla realizzazione del “ Plantoide ”, robot che imita le piante, passando dai centri di “ ortoterapia ” che studiano nuove cure per disturbi psichici, sono molte le dimostrazioni che l’autore riporta nel libro per avvalorare questa prospettiva.

Per tutto il testo, ed è questa una caratteristica affascinante del libro, la « vocazione futurista » riconosciuta nelle piante, s’intreccia continuamente con l’esplorazione di questi organismi e delle loro più ingegnose e sofisticate proprietà.

Si scopre così che “ un albero è dunque una famiglia di piante singole ” ( pagina 46 ), che le piante, a differenza dell’uomo, hanno elaborato un’intelligenza distributiva, che hanno sviluppato una sublime arte della mimesi, che forse potrebbero essere dotate di una rudimentale forma di visione; ma anche perfettamente capaci di “ manipolare ” talune relazioni di collaborazione con animali, di comunicare tra loro e di praticare una forma evoluta di democrazia.

Di certo non votano, hanno però un’intelligenza collettiva e decentrata che elabora le informazioni esterne, distribuisce le funzioni su tutto il loro corpo, e da vita ad una gestione dell’organismo che oggi potremmo definire “ partecipata ”.

Senza ombra di dubbio, su quest’ultimo punto, l’umanità di strada ne ha ancora molta da percorrere, e la consapevolezza è tale che qualsiasi agenda politica non può non tenerne di conto, ma, continuando a leggere questo libro, quando soprattutto si arriva all’ultimo capitolo, il nono, l’amarezza che accompagna qualsiasi ragionamento sugli aspetti più arretrati della nostra civiltà, muta in un più ampio sentimento che raccoglie contemporaneamente sensazioni ottimiste e pessimiste: è forse il capitolo nel quale tutti i nodi vengono al pettine.

Il tema è quello della sicurezza alimentare percepito come il vero problema del XXI secolo. Mancuso entra nel merito delle questioni senza fare sconti, ricordandoci che la progressiva mancanza di acqua dolce è ormai diventato un pericolo per la sostenibilità umana. Le grandi crisi di siccità, e l’inquinamento atmosferico, hanno sferrato un colpo mortale all’agricoltura, ed i problemi che da ciò scaturiscono già si presentano in svariate parti del mondo in tutta la loro drammaticità.

Deforestare altre aree per ottenere terre coltivabili, afferma Mancuso, non può rappresentare una valida alternativa; i costi di questa politica sarebbero e sono troppo alti in termini di sostenibilità per il nostro pianeta.

Allora che fare?

Lo scienziato italiano non ha dubbi: l’unica soluzione è di immaginare la nostra capacità produttiva spostata negli oceani, e per farlo occorre pensare ad un’agricoltura adatta ad alti livelli di salinità. La cosa strabiliante, si viene a sapere nell’ultimo paragrafo, in zona Cesarini, che un progetto in questo senso è già stato realizzato: si chiama “ Jellyfish Barge ” – letteralmente: la barca medusa – progettato dall’autore insieme con una coppia di giovani architetti, Cristiana Favretto e Antonio Girardi.

In sintesi si tratta di una vera e propria serra galleggiante, che produce ortaggi senza consumare suolo fertile, senza acqua dolce e senza altra energia oltre quella solare.

Jellyfish Barge è stato presentato, si legge nelle ultimissime pagine, all’Expo di Milano nel 2015, esposto in moltissime città del mondo, e ha vinto numerosi premi internazionali di indiscutibile valore. Tuttavia, di un’innovazione del genere che produce ortaggi senza consumare energia, al mercato non sembra importare molto: “ Quello che interessa al mercato è un sistema che permetta di aumentare i profitti, non qualcosa che faccia mangiare le persone senza consumare le risorse del pianeta” tuona Mancuso. ( pagina 260 ).

Però, come lo stesso autore afferma “ sappiate che Jellyfish Barge è già pronta e funzionante ”. L’umanità, aggiungo io, può ancora sperare.

Plant revolution, di Stefano Mancuso, Giunti Editore, pp. 272, € 24,00.