Russia 1917, la Rivoluzione. Ezio Mauro cronista 100 anni dopo

di Daniela Lauria
Pubblicato il 30 Ottobre 2017 - 09:31 OLTRE 6 MESI FA
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Russia 1917, la Rivoluzione. Ezio Mauro cronista 100 anni dopo

ROMA – Tornare a vestire i panni del cronista per raccontare un vecchio amore di gioventù: la Russia, con la sua “storia tragica e gigantesca” e la sua “letteratura senza confini”. E’ l’epica impresa affrontata da Ezio Mauro che, dopo un quarto di secolo da direttore, si è ripreso il suo posto d’onore tra i grandi inviati.

Il prossimo 7 novembre, il 25 ottobre secondo il calendario giuliano allora adottato, sarà trascorso infatti un secolo esatto dalla Rivoluzione russa. Cento anni dopo, l’ex direttore di Repubblica, già corrispondente per tre anni da Mosca ai tempi della Perestrojka, è tornato a cercare l’Iskra (la “scintilla” che diede il nome anche al celebre giornale) per raccontare e rivivere il furore di quell’anno terribile e grandioso, che deviò per sempre il corso della storia.

Un viaggio epico nei giorni della rivoluzione del 1917 che è diventato una web serie per Repubblica Tv, un tour teatrale di un’ora e mezza, un reportage in 8 puntate per Rai Storia e infine un libro, da custodire gelosamente sullo scaffale dei preferiti. Si intitola “L’anno del ferro e del fuoco. Cronache di una rivoluzione”, edito da Feltrinelli.

L’idea di partenza è seducente: attraversare il 2017, raccontando il 1917, mese per mese, ogni volta seguendo il filo rosso di un personaggio pescato in mezzo al tumulto di quel tempo. Così a San Pietroburgo, o Pietrogrado, come fu ribattezzata nel 1914, (poi Leningrado dal 1924 al 1991) Ezio Mauro è tornato nei luoghi dell’insurrezione popolare, ha attraversato i quartieri operai di Vyborg e Narva, ha esplorato i palazzi principeschi e gli angoli più tetri della città, ha camminato sulle orme dei fatti e delle storie proibite.

Ma non è solo una mappa dei luoghi quella disegnata dal cronista: dietro c’è una bibliografia enciclopedica, una ricerca quasi ossessiva delle fonti, che farebbe invidia ai migliori volumi di storia. Solo che la narrazione è tutt’altro che boriosa: con il piglio nostalgico di un romanziere, Mauro riesce a rievocare gli eventi esatti, senza sbavature, a fissare accuratamente i volti, i luoghi e i dettagli dei momenti più salienti, insieme ai suoni, alle voci e persino ai canti del periodo. E la scoperta della città si trasforma via via nel racconto delle vicende di cui è stata teatro.

Ricercatore puntuale, Ezio Mauro sa che ogni oggetto di indagine ha sempre e comunque un prima e un dopo. Ecco perché “l’anno del ferro e del fuoco” comincia nel mese precedente, nel dicembre 1916, con l’assassinio di Rasputin, il monaco nero.

Impossibile raccontare la fine dell’Impero russo e della dinastia dei Romanov, tralasciando lui, “il contadino siberiano semianalfabeta, uomo di Dio nell’anima e peccatore nel corpo”, che aveva stregato la zarina Aleksandra e pure Nicolaij II. L’uomo che nelle sue mani riuscì a tenere gli affari di Stato di un impero lungo 300 anni, influenzando le scelte di una dinastia ormai distratta e in declino. Il suo omicidio fu una “specie di colpo di Stato, un sacrificio politico” e da lì tutto ebbe inizio.

Ezio Mauro torna nella reggia di Tsarskoe Selo. Guarda l’aristocrazia che per secoli ha governato i territori sterminati della Grande Madre Russia precipitare verso il suo rovinoso epilogo. Le strade diventano irrequiete e tumultuose. A febbraio i primi moti, con le donne in testa al corteo spontaneo che porta alla caduta degli zar. Lenin e Trotzkij tornano dall’esilio, i bolscevichi si organizzano.

Ed è qui che il treno della storia, anzi i treni, travolgono il lettore. Il cuore del libro, i capitoli 4 e 5, sono una magistrale lezione di analisi comparata. Due treni che, a distanza di un mese, attraversano la Russia. Sul primo viaggia Nikolaj Aleksandrovic Romanov, l’ultimo zar che sta per abdicare al trono, in favore del fratello Michail, a sua volta rinunciatario.

Sull’altro c’è Lenin, il primo rivoluzionario di Russia, che rientra in patria dall’esilio in Svizzera, dopo un avventuroso viaggio attraverso l’Europa dilaniata dalla Grande Guerra. Il ritorno del leader bolscevico fu reso possibile dai tedeschi, che in questo modo speravano di fomentare il malcontento al fronte dei russi.

Su quel treno Lenin scrisse le sue famose “Tesi di aprile” e segnò la cesura tra la prima tappa della rivoluzione “che aveva dato il potere alla borghesia” (cioè al governo provvisorio), e la seconda tappa, che “deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini”. Si arriva così alla “illusione bonapartista” di Kerenskji e al tentato golpe militare del generale Kornilov. Fino all’ultimo ineffabile capitolo: la rivoluzione d’Ottobre. 

Quelli che erano stati i veri protagonisti della rivolta, operai, contadini e soldati, non si sentivano rappresentati dal governo provvisorio nato con l’insurrezione di Febbraio. Così, nella notte tra il 6 e il 7 novembre 1917 (24 e 25 ottobre secondo il calendario russo), le formazioni armate dei bolscevichi guidate da Lenin occuparono i centri nevralgici di Pietrogrado. Astuto architetto della rivoluzione fu Lev Trotzkij che come un hacker, diremmo oggi, escogitò un piano diabolico di occupazione logistica, più che militare, arrivando così alla presa del Palazzo d’Inverno.

Ai russi non è bastato un secolo per venire a patti con l’eredità di quell’anno tumultuoso. Eppure oggi come allora un nome ricorre quasi profetico: cento anni fa un tale Vladimir Ilic Ulianov (meglio noto come Lenin) prese le redini di una rivoluzione cominciata senza di lui, che era in esilio da 17 anni, e instaurò il regime comunista in Russia, il primo al mondo. Due guerre mondiali, una guerra fredda, sei segretari di partito, un muro caduto e svariati anni dopo, il potere è in mano a un altro Vladimir, Putin.

Nei settant’anni di Urss la presa del potere dei bolscevichi era celebrata in pompa magna e l’impero zarista demonizzato. Oggi la storia è timidamente ricordata senza più i fasti, le fanfare e le parate di un tempo. Lo stesso Putin se ne tiene strategicamente alla larga quando chiede che l’analisi di quei fatti resti in un ambito prettamente scientifico e di non politicizzare troppo l’anniversario.

Il reportage di Ezio Mauro ha superato anche questo. Oggi, ha detto all’Ansa l’autore, “in Russia ti dicono di no a tutto, è un paese di timbri e di bolli. E poi ti aprono le porte, ti fanno entrare dappertutto”. Così, come in un cortocircuito tra passato e presente, Mauro è riuscito rievocare nei luoghi della Rivoluzione la stessa atmosfera, le stesse sofferenze, le lotte, le speranze di cambiamento di un popolo e gli atroci delitti: “Di notte, cent’anni dopo, tutto sembra com’era, in questa composizione intatta di storia e di luce, di marmi e di fato, di ghiaccio e di memoria”.