Venezia (e non Firenze) culla del Rinascimento. Tesi dello storico d’arte Villa

di Daniela Lauria
Pubblicato il 19 Gennaio 2015 - 08:27| Aggiornato il 8 Febbraio 2015 OLTRE 6 MESI FA
Venezia (e non Firenze) culla del Rinascimento. Tesi dello storico d'arte Villa

Venezia (e non Firenze) culla del Rinascimento. Tesi dello storico d’arte Villa

VENEZIA – Altro che Firenze, la vera culla del Rinascimento fu Venezia. E’ l’affascinante tesi sostenuta dallo storico dell’arte Giovanni Carlo Federico Villa nel suo libro “Venezia. L’altro Rinascimento 1450-1581” (Einaudi).

Tra il quattrocento e il cinquecento la Serenissima fu capitale indiscussa della cultura umanistico-scientifica d’Europa. L’analisi del libro di Villa riflette su questo, ripensando il ruolo di Venezia in una prospettiva di lungo periodo come officina della modernità artistica, politica ed economica.

Villa descrive quella che era la più avanzata città d’Europa, legata al commercio e al guadagno, con l’invenzione della partita doppia e le prime catene di montaggio della storia, ma anche una città ricca d’arte e di cultura, in grado di concepire nuove forme espressive. Una città-stato fatta da commercianti e tipografi, produttori e artisti, politici ed eruditi, pensatori e condottieri. Tutti artefici di un sistema “unico” e di una civiltà orgogliosa della sua distinzione, nell’arco secolare che va dalla metà del quattrocento alla seconda del cinquecento.

In quegli anni, con una velocità di acquisizioni, proposte, scelte che non ha eguali, l’arte a Venezia si emancipava dall’ultima eredità bizantina, proponendo prima una lezione “italiana” con Giovanni Bellini e poi pienamente “europea” con Tiziano Vecellio.

In questo senso il Rinascimento veneziano fu unico nel suo genere. “Altro” rispetto a quello che andava fiorendo a Firenze e a Roma. Andando a pescare non soltanto nell’ideale classico dei latini ma anche nell’antica Grecia e prestando al contempo attenzione a quel che accadeva nel Nord Europa, con l’arte fiamminga e danubiana.

Quella veneziana, scrive Villa, non fu neppure l’esigenza di una “rinascita”, piuttosto di un “rinnovamento”, con “rispettosa attenzione per la lezione del passato”. A Venezia le regole dell’architettura del Rinascimento dovettero adattarsi alla singolare struttura della città lagunare e al prepotente predominio della pittura su tutte le arti, espressa in modo esemplare dai giovani Bellini fino all’ultimo Tiziano.

Mentre a Firenze si inventava la prospettiva, a Venezia si riscoprivano lo spazio e il paesaggio con la “pala unificata” e la tridimensionalità del colore. Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Giorgione, Tiziano e Sebastiano furono, secondo Villa, giganti dell’arte che la canonizzazione ufficiale ha ingiustamente relegato a personaggi comprimari.

“Se si chiede di citare i massimi pittori d’ogni tempo – osserva Villa – nessuno dirà mai Bellini o Tiziano. Eppure quest’ultimo è stato l’artista più pagato d’ogni epoca mentre il primo il più rivoluzionario”.

Lungi dal voler essere una rassegna esaustiva o un compendio di storia dell’arte del secolo d’oro veneziano, il libro di Villa è piuttosto una rilettura sincronica di quella produzione artistica, immersa nella vita sociale e politica della Serenissima. Una storia che ha inizio con l’arrivo a Venezia di Antonello da Messina e termina con il riconoscimento europeo di Tiziano Vecellio.