Brindisi, sulla porta i mostri con microfono: “Le dicevano mostro, cosa prova?”

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 23 Maggio 2012 - 13:47 OLTRE 6 MESI FA

BRINDISI – Scena: una troupe televisiva di fronte ad una porta socchiusa, il microfono infilato nello spiraglio aperto. Il giornalista domanda: “Lei è stato descritto come il mostro, cosa prova?”. Di fronte alle immagini di questa performance televisiva Enrico Mentana, dal suo Tg de La7, ha chiesto scusa, a nome di tutto il giornalismo anche se non era sua la troupe davanti a quella porta. Era la scena dell’intervista, se così la si può definire, della corsa a perdifiato e a perdifaccia all’ultimo mostro. L’elettrotecnico diventato per una giornata lo stragista di Brindisi. Lui, ora che ha dimostrato di non avere nulla a che fare con l’attentato alla scuola Morvillo Falcone, ha solo voglio di essere dimenticato ma a chi bussava alla sua porta avrebbe potuto dire, a buon diritto, “Mostro sarà lei…”.

Prima era stata la volta dell’ex militare in pensione, poi è toccato all’elettrotecnico con la passione per la radio indossare i panni del mostro che piazza bombe di fronte alle scuole. I fatti di Brindisi hanno scosso l’opinione pubblica, un bomba contro dei ragazzi è  cosa intollerabile. Da questo, e dalle prove in mano agli inquirenti, in particolare dal video che mostra il presunto attentatore, è nata e sgorgata una richiesta, un bisogno di dare un volto subito al colpevole. Bisogno che è andato al di là, troppo al di là. Bisogno che è diventato pretesa, fino ad imporre quelle che sono state definite “indagini con i giornalisti in Questura e Pretura”.

Gli inquirenti fanno il loro lavoro, forse qualcuno avrà pensato di aver risolto il caso troppo in fretta, ma in tutte le indagini si va avanti anche per tentativi. Così è anche nel caso di Brindisi. Ma la “gente” ha, soprattutto in casi simili, bisogno di vedere il colpevole, e di vederlo subito. E i media, che dovrebbero filtrare questo sentimento anziché cavalcarlo, si sono invece lasciati trascinare. Sbattendo, come si dice, il mostro in prima pagina, anzi appiccicando un nome netto e preciso ad un fotogramma sfocato di un video. Con tanto di foto, indirizzo, nome e cognome. Raccontando di fughe all’estero e fermi rocamboleschi, traduzioni in carcere e strani comportamenti da sempre notati.

I giornali hanno fatto da cassa di risonanza, avvitandosi e dando vita ad un circolo vizioso, vellicando e carezzando il peload una richiesta spacciata per popolare, ma in realtà plebea: quella appunto del “mostro” trovato e cucinato in tutta fretta. Perfino i vicini del sospettato sono stati lesti pronti a trovare stranezze nei comportamenti del loro dirimpettaio. “E’ sempre stato uno schivo, strano”, “Vedesse che antenna e che attrezzatura ha messo sul tetto”. Oppure per bocca di quelli che volevano vederlo per sfogare la loro rabbia: “Buon per lui che lo hanno preso prima i poliziotti”, oppure “tanto qui deve tornare”.

Frasi, parole, umori, particolari, ricordi: tutto è fiorito in un lampo, a prescindere da attendibilità e veridicità. Era vero che il “mostro elettrotecnico” aveva montato un antenna sul tetto del palazzo dove vive. E’ un radioamatore, forse il più noto di Brindisi.

Lui, l’elettrotecnico, e il fratello, trascinati insieme in questura, e con loro la figlia di quello che è stato il mostro per un giorno, sono stati mediaticamente linciati. Additati alla gogna e al patibolo in primis dal popolo della rete e dei social network, liberissimo di sbagliare e di sputare sentenza senza conoscere i fatti, ma anche dal giornalismo professionale che dai fatti non dovrebbe prescindere. E i fatti dicono che un sospettato non è un colpevole, che un interrogato in questura non è un mostro. Mentana ha chiesto scusa e ha fatto bene, alla prossima qualcun altro chiederà scusa un’altra volta al “mostro” mancato, e ancora e ancora fino a che qualcuno o qualcosa non fermerà il meccanismo davvero mostruoso con cui si corre a strillare la “notizia” con al sola ansia di arrivare prima, mai di arrivare giusti.