Sicilia: 700 euro di calze a commesso. Veneto fa seggi: arruola 500mila “extra”

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 24 Settembre 2012 - 14:28 OLTRE 6 MESI FA
Renata Polverini e Roberto Formigoni

ROMA – Le divise siciliane o le palazzine laziali? Il Pirellone bis o gli extracomunitari cooptati in Veneto? Scegliere da dove partire per raccontare il peggio delle regioni italiane è un esercizio che comporta solo la fatica e l’imbarazzo della scelta. Tra furbizie e vere proprie ruberie le nostrane amministrazioni locali non perdono infatti occasione per sfoggiare il peggio di loro. Per racimolare denaro ogni occasione e ogni metodo sono buoni, come purtroppo per sperperarlo. Senza distinzione di colore si mangia, a sbafo, a destra come a sinistra. Anche se, va detto, con una certa tendenza all’abboffata radicata più sulla destra.

Dopo l’esplosione del bubbone Fiorito e dell’allegra gestione laziale dei soldi pubblici, l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media, oltre quella della magistratura, si è concentrata sui soldi che le Regioni italiane spendono. Scoprendo in realtà la classica acqua calda. Cioè che le Regioni sono dei politici buchi neri che inghiottono denaro pubblico. Lo inghiottono per funzionare, lo inghiottono distribuendolo in maniera dissennata e lo inghiottono rubando. Qualche eccezione esiste, anche se rara. Ma se questa era una realtà già nota, quello che ficcare il naso nei conti delle regioni ha svelato sono i modi concreti in cui le regioni il denaro di tutti noi bruciano.

In Sicilia, nel bilancio dell’Ars, l’assemblea regionale, figurano ben 360 mila euro per le divise dei 160 commessi. Soldi stanziati per acquistare nuove uniformi e per garantire un assegno fisso da 700 euro elargito a ogni commesso per acquistare calze e camicie. Nel Lazio, se non fosse scoppiata la bufera, il consiglio regionale avrebbe speso 10 milioni per due palazzine nuove. Le quali si sarebbero aggiunte a un patrimonio della Regione di 13 fabbricati e 367 appartamenti. Comunque troppo pochi visto i 20 milioni l’anno che la Pisana spende in affitti. In Lombardia invece sono ben 400 i milioni, ma c’è chi sostiene che il conto sia arrivato a 570, investiti per il Pirellone bis con tanto di eliporto, ora bloccato dal Tar. O ancora il Veneto, che costretto a ridurre il numero dei suoi consiglieri regionali, ha deciso di avere un consigliere ogni 100 mila abitanti. Ma visto che i 4.400.000 residenti italiani frutterebbero “solo” 44 poltrone, ha deciso di contare come veneti anche gli extracomunitari che sono oltre mezzo milione, sfondando così quota 5 milioni e 50 consiglieri. Ma quegli stessi immigrati non possano però votare anche perché la Lega Nord, che governa il Veneto con Luca Zaia, ha fatto del rifiuto del diritto di voto ai “bingo bongo”, per usare le parole di Roberto Calderoli, una delle sue missioni. Nessuna ruberia in questi casi, solo sperperi.

Non solo sperperi invece in Calabria, con un buco di 170 milioni di cui 80 deriverebbero da malversazioni e con il consiglio comunale di Reggio Calabria che rischia lo scioglimento per infiltrazioni mafiose. E in Campania dove, quando la Finanza ha bussato alle porte della Regione per far luce sui conti, è stata accolta con un “vi stavamo aspettando”. E poi la Sardegna, dove Giommaria Uggias (Idv), sentito dai magistrati su un viaggio a Manchester pagato con i soldi pubblici ha risposto così: “Sinceramente non ricordo”, e il pm “Qualche suo parente lavora in Gran Bretagna?”, “Mia sorella, a Manchester”. E poi viaggi a Napoli e capodanni a Parigi con venti indagati per peculato tra i consiglieri regionali.

Dal Nord al Sud, da destra a sinistra non c’è regione che possa dirsi “diversa”. Persino le insospettabili come il Trentino Alto Adige sono protagoniste di clamorosi sprechi. Come nel caso della scelta di mantenere due “rappresentanze diplomatiche” a Bruxelles, presso l’Unione Europea: una per l’Alto Adige, e una per il Trentino, con relativi staff e costi. O come racconta la proposta, fatta da alcuni consiglieri di lingua tedesca, che chiedevano lo scioglimento dell’ente regione in quanto svuotato, di fatto, dall’esistenza delle province autonome. Proposta bocciata 52 ad 8.

Bocciata perché a Trento come a Palermo le Regioni garantiscono potere, stipendi e benefit. Anche senza tener conto delle ruberie vere e proprie, delle spese “allegre” e degli investimenti discutibili, le 20 Regioni italiane costano ai contribuenti un mare di denaro per “semplici” costi di funzionamento. Stando al sito ufficiale Parlamentiregionali.it il più pagato dei presidenti delle assemblee regionali è il lombardo Fabrizio Cecchetti della Lega Nord: 14.766 euro al mese netti compresi i rimborsi massimi. Seguito dal pugliese vendoliano Onofrio Introna: 14.595. Mentre il meno pagato è il toscano Alberto Monaci, del Pd: 6.901. La retribuzione più elevata per un semplice consigliere è in Lombardia: 12.666 netti. La più bassa in Emilia-Romagna: 5.666 euro. Rispetto al numero degli abitanti poi, un deputato regionale costa un centesimo e mezzo l’anno a ogni lombardo o emiliano, 5,2 a ogni calabrese, 7,7 ad ogni friulano, 16,5 a ogni lucano e 38 a ogni molisano. Per non dire della Val d’Aosta: 57,4. E poi ci sono i dipendenti. La Regione Siciliana ne stipendia un numero quindici volte superiore a quello della Lombardia e la sola presidenza ha più dipendenti (1.385 contro 1.337) di Downing Street. Il Lazio ha un settore parchi con 868 dipendenti. Più, grazie a un aumento di poche settimane fa, 68 dirigenti. Il presidente del Consiglio Laziale, il ciociaro Mario Abbruzzese, ha uno staff di 18 persone (Barack Obama ne ha 21) più 9 collaboratori.

Dovevano servire le Regioni, dalla loro istituzione e dalla loro previsione nella Carta Costituzionale, come istituzioni intermedie tra i cittadini e lo Stato. Adatte a controllare, capire e amministrare meglio il territorio rispetto ad uno stato centrale lontano e, come ha sempre sostenuto la Lega, ladro. Proprio in nome di questa visione l’allora partito di Bossi promosse e ottenne la modificazione della Costituzione in tema Regioni ottenendo però, come risultato, un accrescimento dei difetti di queste anziché una limatura delle storture. E trasformando, come scrivono Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, le Regioni in “piccoli staterelli governati da una classe politica di persone perbene ma anche di piccoli satrapi di provincia prepotenti, rapaci, insaziabili”. Statarelli che, a prescindere da chi siano governati, sono generalmente sordi. Per mettere un freno alle folli spese già il ministro Tremonti sancì la riduzione del numero dei consiglieri regionali legandoli ad un sistema di proporzionalità con gli abitanti. Più della metà delle regioni presentarono ricorso sostenendo che la composizione delle varie assemblee non era competenza dello Stato. Ad eccezione delle Regioni a statuto speciale il ricorso fu respinto ma, nonostante questo e nonostante la scadenza per adeguarsi sia scaduta da circa 6 mesi, solo 4 amministrazioni risultano ad oggi in regola.