Allarme casa, rifanno la tassa: Comuni in agguato sulle aliquote

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 8 Aprile 2015 - 12:49 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Tassa sulla casa, si può fare peggio? La domanda è impertinente ma, visti i precedenti, certamente non fuori luogo. Le linee guida del Def presentate martedì in Cdm dicono che in tema di balzelli sugli immobili ci sarà una nuova riforma, il cui spirito primo e dichiarato è quello di semplificare e razionalizzare, ma i contribuenti italiani sanno sin troppo bene che tra il dire e il fare c’è il famoso mare.

Per questo, sentendo che il governo ha intenzione di rimettere mano alla questione, tornano le preoccupazioni di chi, negli ultimi anni, ha nell’ordine: pagato l’Ici; visto questa sparire; pagato l’Imu; atteso la Tasi e pagata questa solo quando i vari Comuni hanno stabilito le aliquote; salutato l’Imu sulla prima casa ma ritrovata su altri immobili e via elencando.

Percorso ad ostacoli nel labirinto di norme intrecciate con una sola certezza: dal 2011 la tassazione sugli immobili ad ogni cambio di tassa non è mai calata, è sempre cresciuta in termini assoluti e diventata più cervellotica nel calcolo (demandato ai contribuenti) dell’esazione. Ora l’intenzione sarebbe sacrosanta: quella di ricondurre ad una unica tassa l’Imu, la Tasi e la miriade di altri balzelli locali che i Comuni a vario titolo legano alla casa. Buona intenzione, ma di buone intenzioni sono lastricate le strade che portano all’inferno.

E quindi, sulla base dell’esperienza passata e analisi del presente alla mano, allarme, allarme suoni e suona per le tasse sulla casa. I Comuni, che piangono miseria, sono in agguato. La nuova tassa unica dovrà poggiare ovviamente su aliquote di calcolo e si parla di un ventaglio dal 2 al 5 per mille. Se saranno i Comuni a decidere dove fissare l’aliquota si può star certi lo faranno al massimo, alla massima aliquota possibile. L’hanno già fatto con la Tasi dove hanno portato l’aliquota al massimo in cambio di deduzioni sulla tassa prima casa che però non si sono viste.

E’ il modus operandi dei Comuni, da tempo. Un modus operandi solidificato e non casuale. Da quando con l’improvvida legge sul federalismo voluta dal centro sinistra gli enti e governi locali hanno avuto libertà e licenza di tassare a livello locale (era il 2009) l’aumento di 5,5 punti di pressione fiscale nel periodo corrispondente è imputabile all’ottanta per cento a Comuni e Regioni. Già tre anni dopo la legge avevano triplicato le tasse locali. Un esempio: l’addizionale regionale partì nel 1998 con l’aliquota dello 0,5% e ora può arrivare al 3,3%.

Faranno così anche sulla tassa unica per la casa se le aliquote non saranno definite e bloccate a livello nazionale. Se le aliquote saranno lasciate ai Comuni la tassa unica non sarà una semplificazione ma sarà un salasso, nonostante le promesse governative di “invarianza fiscale” e cioè di mantenere inalterato il gettito della tassa qualunque sia la sua forma.

“Il Def – scrive Alessandro Barbera su La Stampa – annuncia che molto presto il governo rimetterà mano al prelievo sulla casa. Non per aumentarlo (così promette), ma per renderlo più semplice dopo lo straordinario pasticcio di fine 2012, quando l’Imu cambio pelle tre volte in tre mesi”.

La promessa è a pagina 18 della bozza del Programma nazionale di riforme: “Per semplificare il quadro dei tributi sugli immobili il governo ha annunciato l’introduzione nel corso del 2015 di una nuova local tax, che unifichi Imu e Tasi e semplifichi il numero delle imposte comunali, mediante un unico tributo/canone in sostituzione delle imposte e tasse minori”.

La nuova local tax che l’esecutivo ha in mente dovrebbe assorbire tutti i tributi comunali sugli immobili e, se approvata entro questo autunno, permettere ai consigli di approvare bilanci di previsione credibili. Una novità questa che rappresenterebbe quasi un unicum dopo anni di incertezze nei bilanci legate alle incertezze della legislazione fiscale. Il leader dell’Anci Piero Fassino, uno che di tributi locali dovrebbe saperne, ha calcolato 27 leggi in materia in poco più di tre anni. Una bulimia legislativa che non ha fatto felici né i contribuenti né le casse pubbliche.

“A dicembre – racconta ancora Barbera -, prima che il dossier fosse congelato, a Palazzo Chigi si erano fatte anche delle simulazioni: l’aliquota standard avrebbe dovuto valere il 2,5 per mille innalzabile fino al 5 per mille, e con una detrazione fissa di cento euro per i redditi bassi. ‘Quelle erano le prime ipotesi’, spiega una fonte di governo”.

Ma anche se di prime ipotesi si tratta, sono ipotesi che in nuce racchiudono il rischio di un nuovo pasticcio. E se “l’impegno è in ogni caso di non aumentare il prelievo complessivo”, come assicura il responsabile economia Pd Filippo Taddei, la paura è che anche con l’ormai nota formula dell’invarianza di gettito si creino, lasciando ai comuni la scelta su quale aliquota applicare, le vecchie disparità e soprattutto i già noti e verificati problemi. La discrezionalità garantita sinora ai vari Comuni non ha solo fatto sì che in diverse città si pagassero tasse dal diverso peso (si è arrivati a contare 97.000 diverse aliquote), ma ha anche condannato i contribuenti italiani a dover aspettare oltre il lecito le decisioni dei Comuni stessi che, sin troppo spesso, hanno indicato le loro aliquote con colpevole ritardo. Un comportamento che ha condannato i contribuenti stessi al non poter sapere in anticipo quanto avrebbero poi dovuto pagare.

Gli errori e i veri e propri pasticci fatti sinora in tema di tassa sugli immobili rendono ora più che auspicabile una riforma semplificatoria della cosa, ma non aveva lo stesso obiettivo anche l’introduzione della Tasi fatta solo pochi mesi fa?