Berlusconi e Napolitano: si fosse votato con la neve, inverno 2011…

di Antonio Del Giudice
Pubblicato il 5 Agosto 2013 - 05:07 OLTRE 6 MESI FA
Berlusconi e Napolitano: si fosse votato con la neve, inverno 2011...

Giorgio Napoltano prestigiatore estrae dal cappello il coniglio Monti: fotomontaggio dell’autunno 2011

Votare con la neve mai! La parola d’ordine accompagnò l’uscita di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi alla fine del 2011 e favorì l’arrivo del suo successore, Mario Monti. Monti era stato opportunamente preparato alla bisogna, con la nomina a senatore a vita tre mesi prima. Berlusconi lasciò la poltrona di premier, cedendo all’assedio dello spread, della crisi economica, dei giornali, dei maggiorenti italiani che l’avevano mollato, delle Cancellerie europee, in prima fila Angela Merkel, la Signora di Berlino.

Il centro destra era con le spalle al muro. Il centrosinistra che presumibilmente avrebbe vinto le elezioni a mani basse, si piegò al disegno del Quirinale, che paventava esiti greci per la nostra economia. Niente voto, dunque.

Il Berlusconi impresario-capopopolo, solitamente combattivo, parve in disarmo: gridò timidamente al golpe per qualche giorno, poi accettò addirittura di appoggiare Monti, in alleanza con i “comunisti” di Pier Luigi Bersani, l’odiato Pierferdinando Casini e persino il traditore Gianfranco Fini. Se non si trattava di un golpe classico, si trattò certamente di un colpo di scena. Tutti uniti per l’Italia.

Berlusconi, il Cavaliere di Arcore, smessa la corazza da combattimento, cominciava a ragionare da statista salvatore della Patria. Il suo era un comportamento innaturale, come di un leone che si facesse sbranare da un cristiano.

Le voci, più o meno malevole, cominciarono a insinuare di un accordo fra Berlusconi e Napolitano che prevedesse, in buona sostanza, un freno all’ “accanimento giudiziario” che il capo del Pdl denuncia dalla sua discesa in campo, vent’anni orsono.

Vero o immaginato che fosse l’accordo, Berlusconi si dedicò a far dimenticare la sua terza fallimentare esperienza di governo, per ritirare fuori le unghie sei mesi dopo l’insediamento di Monti, il professore prestato alla politica che si andava facendo “politico” stretto fra Casini e Fini, i Dioscuri del nuovo Centro.

Fondata o meno che fosse l’aspettativa, Berlusconi non nota benefici dall’accordo con il Quirinale. Peggio. I processi a suo carico, ancorché rallentare, accelerano in velocità e difficoltà. Mediaset e Ruby, innanzitutto, con seguito di Tarantini-escort, De Gregorio-corruzione di parlamentari e via enumerando. Il Cavaliere comincia a sentire puzza di bruciato.

Non si fida più. Monti va a casa, arrivano le elezioni di febbraio 2012. Berlusconi rimonta i sondaggi e ribalta le altrui speranze, con la cosa che gli riesce meglio: la campagna elettorale. Bersani, dato per vincitore un anno prima, porta a casa la Camera, grazie al Porcellum, ma non il Senato. Grillo agguanta un terzo del Parlamento. Monti e Casini e Fini e Montezemolo fanno un bel buco nell’acqua. Un casino che non consente la nascita di nessun governo. Il che impedisce a Napolitano di concludere il suo Settennato, anzi lo costringe a restare al Quirinale per rimettere insieme i cocci. Per la prima volta in settant’anni di Repubblica le istituzioni sono completamente inceppate.

Berlusconi si rifà statista, abbassa i toni, partecipa con convinzione alla Grande coalizione attorno al designato Enrico Letta, voluto fortemente dal Quirinale. Monti e i suoi ci stanno perché ci devono stare.

Il Pd va in paranoia, si spacca, litiga, si ricompone in parte. Insomma il governo Letta nasce su un patto Napolitano-Berlusconi, il primo preoccupato per le sorti del Paese, il secondo preoccupato dal fiato caldo dei giudici che sente sul collo. Il Cavaliere si aspetta gratitudine. Sopporta pazientemente i 7 anni subiti per Ruby, tanto ci saranno l’Appello e la Cassazione.

Punta tutto sul processo Mediaset per la milionaria evasione fiscale, il più pesante. Cerca di fermare il fiume con il secchio del fido avvocato Nicolò Ghedini, arriva alla Cassazione con la condanna a 4 anni di carcere e 5 di esilio dalla politica. Chiede aiuto all’autobotte di Franco Coppi, ma in realtà spera nelle pressioni della politica (Quirinale?) per uscire vivo dal Palazzaccio.

È un miracolo che non accade. Berlusconi andrà in galera. Lui chiama a raccolta le truppe oceaniche che non ci sono più, mentre promette sostegno al governo. Prepara la guerra per ottenere la pace (per sé). Ma la pantomima non sta in piedi. Il Pdl all’unisono lancia un aut-aut: la grazia del capo dello Stato al condannato Berlusconi o la caduta del governo e il voto nell’autunno prossimo. Fino all’uscita dello zelantissimo Sandro Bondi, detto “il mite”: o la grazia o la guerra civile. Il Quirinale si infuria, ma comincia a comprendere che è molto pericoloso sedersi al tavolo da gioco con chi bara con eccezionale bravura.

Non si può ancora dire fine della storia, perché la coda avvelenata è appena cominciata. Ma si può dire che non è stata una grande idea quella di evitare le elezioni sotto la neve nel 2011, per non rischiare la cosiddetta sindrome greca. Adesso, a parte lo spread e i poveri tentativi di Enrico Letta, stiamo peggio della Grecia e voteremo lo stesso sotto la neve, forse. Il pallino è tornata a Napolitano, sotto forma di bomba ad orologeria.