Argentina lacrime e sangue: tasse più tasse. Ma può smettere di piangere

di Franco Manzitti
Pubblicato il 19 Maggio 2014 - 13:45 OLTRE 6 MESI FA
Argentina lacrime e sangue: tasse più tasse. Ma può smettere di piangere

Cristina Kirchner (foto Lapresse)

BUENOS AIRES – Il mondo alla fine del mondo, dove i cardinali hanno trovato il papa Francesco nel cuore di Buenos Aires, Argentina, vive al 35 per cento di inflazione, vai a fare la spesa con la carriola piena di pesos come era già successo dieci anni fa o come si racconta nei manuali di storia della Repubblica di Weimar.

Il governo di Cristina, come la chiamano confidenzialmente amici e nemici, dai confini lussureggianti del Norte, dove scorre il Paranà, fino ai ghiacci del Sud ed oltre, ben oltre la terra del Fuego e il Petito Moreno, ghiacciaio da turisti, verso la fine del Continente e, appunto del mondo, o lassù nel Chaco, il deserto sotto le Ande, regno di serpenti e ragni velenosi, impone tasse bestiali sulla soia e taglia le pensioni.

Questo governo, travolto dall’ultima tempesta finanziaria, “stanga” la soia, che sarebbe diventato il “sale” della nuova agricoltura non solo qua, ma ovunque sul pianeta agricolo.

Cristina Kirckner, la vedova di Nestor, morto da ex presidente e indicato già successore della moglie, in una catena dinastica che nel “mondo alla fine del mondo” si perpetua dai tempi di Peron, fronteggia un’altra crisi catastrofica di un paese che potrebbe essere uno dei più ricchi del mondo e invece sbatte ogni dieci anni contro una crisi devastante, che ne minaccia perfino l’integrità.

Eppure l’Argentina potrebbe smettere di piangere, come canta la famosa canzone, una volta per tutte e non solo perchè ha mandato a Roma sul soglio di Pietro il papa, il primo papa latino americano in assoluto, il primo che viene da un altro Continente e che si è chiamato Francesco e che continua a essere sempre in prima pagina e che quando era laggiù, nel “mondo alla fine del mondo” veniva considerato un avversario dal potere costituito dei Kirchner, ma anche prima dei Menem, dei radicali pre peronisti o dei generali o dai desarollisti e lo detestavano e non lo amavano certo quell’arcivescovo gesuita, prima teologo, prima semplice prete, che da sempre viaggiava per le periferie de la Ciudad Federal.

Rompeva le scatole, padre Jorge Bergoglio al padrone de la Casa Rosada, il palazzo del Governo, in mezzo alle Avenidas trionfali di Baires, dove una cosa la capisci subito: che questo paese ha uno spazio tale che può comprendere tutto, le più grandi possibilità e le sciagure più catastrofiche.

Ha una delle terre più fertili e ricche del mondo, il petrolio, le montagne, fiumi che sembrano mari, il clima dolce al posto giusto, il bestiame migliore che esista, ma anche una capacità sovrumana di scatenare dentro se stesso la più sconvolgente forza di autodustruzione. Sta a galla tra la prosperità ridondante e lussurreggiante della sua terra ricca, del suo incanto atmosferico e il disastro della sua conduzione politica.