Papa. Bagnasco, messa solenne a Genova, mistero del motu proprio

di Franco Manzitti
Pubblicato il 21 Febbraio 2013 - 11:25 OLTRE 6 MESI FA

GENOVA – La Santa Messa per pregare in favore di Benedetto XVI e il suo grande gesto di rinuncia è annunciata per il sabato 23 febbraio nella cattedrale genovese di san Lorenzo, quella grande chiesa in mezzo ai caruggi. Il cardinale eminentissimo Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, sicuramente uno dei prelati più addolorati e silenziosi dopo la rinuncia papale e l’annuncio della sede vacante, che ha convocato tutti sotto le navate del grande tempio , un giorno prima che si aprano le urne elettorali del voto più difficile e drammatico della recente storia repubblicana, nel gelido fine settimana che l’Italia sta preparando.

Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio: si pregherà per lo spirito di Ratzinger, per la sua decisione storica e forse si penserà anche a questa elezione parlamentare sulla quale Bagnasco è stato così presente, con i suoi moniti da presidente della Cei, in una coincidenza temporale tanto forte quanto inquietante.

La Messa nell’orario inedito delle 15,30 chiama a raccolta tutto il popolo di Dio, quello che le dimissioni stanno scuotendo come le canne al vento di tante citazioni evangeliche, ma coinvolge anche il relativizzato mondo secolare che a quella Chiesa, a quel cardinale, ai suoi predecessori continua a guardare con una attenzione particolare. Sotto le navate imponenti e un po’ sobrie di san Lorenzo, dove giace ancora minacciosa la famosa bomba inesplosa, che l’otto febbraio del 1941 la flotta inglese sparò su Genova e che cadde dal soffitto della grande Chiesa senza esplodere al suolo e restando lì come un monumento, un monito al potere soprannaturale del miracolo e alla violenza bellica, ci saranno tutti i vescovi liguri.

Entreranno salmodiando, gravi e compunti, i monsignori, le eccellenze che un destino imprevedibile ha fatto schierare la settimana scorsa davanti al papa appena dimissionario, nella rituale visita “ad limina”, che cade ogni cinque anni e che per i vescovi liguri è capitata il giorno dopo lo sconvolgente l’annuncio. Una coincidenza di potenza emotiva fortissima: la foto che immortala quel papa dimissionario, pallido e sorridente e e i sette vescovi genovesi impettiti, timidi e scossi, resterà nei libri di storia.

Ci sarà Luigi Palletti, vescovo di Spezia Sarzana e Luni, AlbertoTanasini di Chiavari e Fontanabuona, Vittorio Lupi di Savona, Mario Oliveri di Albenga e Imperia e ci sarà Albero Carreggio di Sanremo e Imperia, dmissionario per ragioni di età non come il Pontefice, ma presente con i suoi paramenti oramai emeriti. E forse scenderà in riva al mare anche Martino Canessa, vescovo di Tortona, una delle più grandi diocesi italiane, limitrofa al territorio ligure e genovese. Concelebreranno insieme a Angelo Bagnasco, il cardinale che li guida e che intonerà le preghiere, impugnando il pastorale come un’ancora alla quale la Chiesa dolente di questi giorni si aggrappa, alla ricerca della forza della fede contro le ondate di un mare in tempesta.

La Chiesa genovese e ligure è la prima che si raccoglie in preghiera con questa liturgia eccezionale nei giorni tormentati che precedono la sede vacante e questa messa insolita e sicuramente dai toni raccolti e dimessi sottolinea in qualche modo anche la tensione che da anni lega tra nomine, consacrazioni, grandi carriere e improvvisi “promoveatur”, il percorso di un clero diventato così baricentrico nella chiesa di Roma, oggi tanto vacillante. Sembra quasi una restituzione spirituale a tanti eventi che con il lavoro dei pastori di anime c’entrano poco o nulla.

È come se questa chiesa genovese, diventata tanto potente negli ultimi lustri, molto di più di quando nel Medioevo la sola Taggia, borgo periferico del Ponente, addirittura vantava quattro cardinali, si inginocchiasse per prima davanti al papa che se ne va da vivo, addolorata, confusa, quasi penitente.

Qui è passato tra quelle navate, come può passare una specie di tornado, il cardinale Tarcisio Bertone, oggi quasi ex segretario di Stato, possibile epicentro degli scontri che hanno mosso Benedetto XVI contro le “deturpazioni” della Chiesa, ma adesso Camerlengo della sede vacante, una specie di Pontefice ad interim, che fu arcivescovo di Genova fino al 2005, consacrato principe della Chiesa da Woityla nell’ottobre del 2003 e decisivo per tanti passaggi tra la Liguria e il Vaticano e all’interno del Vaticano stesso nelle gerarchie curiali, che oggi sono considerate lo scandalo alla base del grande gesto di rinuncia papale.

Con lui la cattedra di san Lorenzo, dove aveva magnificato il suo ruolo tra il 1945 e il 1987 Giuseppe Siri, il papa mancato di due Conclavi, colui che, come ha rivelato a Blitzquotidiano don Giovanni Cereti, rettore della Abbazia dei genovesi a Roma, avrebbe potuto diventare papa senza Conclave, per motu proprio di Pio XII, è apparsa anche forse esageratamente come una specie di crocevia-chiave della Chiesa romana e curiale.

Già il passo a Bertone lo aveva lasciato Dionigi Tettamanzi, diventato cardinale di Milano e figura forte della ala più progressista, oggi arcivescovo emerito, il primo a lasciare Genova e san Lorenzo non con i funerali in pompa magna o con un addio da Emerito, ma proiettandosi dalla città di Colombo verso un ruolo ancora più importante : la cattedra che fu di Sant’Ambrogio a Milano. E dopo Bertone a Genova era tornato l’allora vescovo ordinario militare, Angelo Bagnasco, genovese nato nei carruggi e promosso quasi subito, dopo il suo ritorno a casa, presidente della Cei, in una triangolazione di potere mai vista da quella cattedrale genovese, tra lo stesso Bertone, divenuto Segretario di Stato, lo stesso Bagnasco, capo dei vescovi italiani e il loro predecessore Tettamanzi, un “genovese” di acquisto, diventato l’arcivescovo della diocesi più grande del mondo, quella di Martini e prima ancora di Schuster.

Bertone Tarcisio, un salesiano, di grande energia e determinazione, aveva lasciato un segno forte nella città che si raccoglierà in preghiera sabato pomeriggio , tanto forte da provocare poi conseguenze che sono ancora come micce accese in Vaticano e riguardano, appunto, le vicende di questa inedita emergenza, suscitata dalla rinuncia al trono pontificio di Ratzingher.

Molti uomini e preti e monsignori, ma anche laici vicini al recinto sacro di san Lorenzo, sotto il regno di Tarciso Bertone, ben presto soprannominato ArciTarci per la sua carica di attivismo e di forza non solo pastorale ma anche civile e molto più terrena, sono decollati verso superiori destini nella stessa chiesa, ma anche nelle importanti carriere limitrofe al potere ecclesiastico, che a Genova ha sempre voluto dire anche gestione di altro, come gli ospedali che per statuto sono all’ombra del cardinale, il Gaslini Ospedale dei bambini e il Duchessa di Galliera, grande struttura nel centro della città.

Il caso più eclatante di questo “promoveatur” con il sigillo di Arcitarci è quello di Marco Simeon, cui Alberto Statera ha dedicato nei giorni scorsi su Repubblica un ritratto al vetriolo e di cui lo stesso giornale è stato il talent scout qualche anno fa.

Fu proprio Bertone ha estratto dall’urna questo oggi trentacinquenne sanremese, figlio di un benzinaio e lo ha lanciato verso una strepitosa carriera border line tra le stanze vaticane e l’alta finanza di banche e istituti tra i più importanti del sistema economico. Aveva solo 29 anni, questo Simeon, e si era messo in mostra solo come animatore della cooperativa “Il Cammino”, istituzione benefica nata nella tentacolare città di Sanremo, che si metteva in vista perchè spediva a Roma i fiori necessari alle grandi cerimonie in san Pietro e dintorni, le palme pasquali, i garofani , le strelizie, le orchidee, i crisantemi che nascono nelle serre liguri.

Chi era questo ragazzo, figlio del popolo, mingherlino ma di favella pronta e di capacità relazionale smisurata, in grado di diventare a quell’età “priore della Misericordia”, una confraternita genovese propietaria di 130 appartamenti nei carruggi e di entrare silenziosamente nel consiglio di amministrazione dell’ospedale Galliera, presieduto dal cardinale di Genova, dove si sono sempre seduti non solo i più illustri e cattolici professionisti della città, ma anche figure storiche del capitalismo famigliare zeneise, come il mitico Giamba Parodi, erede di dinastie di grande forza economica, come i Bombrini e parenti dei Doria, discendenti anche dell’ammiraglio Andrea e oggi sempre in auge con il sindaco attuale della Superba, Marco Doria appunto.

O come Alberto Pongiglione, l’imprenditore che osò trasformare urbanisticamente il cuore di Genova, facendo abbattere il quartiere di via Madre di Dio, sostituendolo con palazzate anonime, gelidi giardini “di plastica”( così li chiamano gli abitanti della zona) e azzittendo le cantilene dialettali che si levavano da quei carruggi, immortalate nelle canzoni dell’aedo moderno della genovesità Fabrizio De Andreè, che ha reso immortali i richiami delle pescivendole, i suoni vocali femminili che si alzavano dai trogoli, dai lavatoi, dalle botteghe di quell’ombelico genovese…….Anchue, anchuee fresche…..acciughe, acciughe fresche, la nenia indimenticabile.

Un ignoto Simeon, venuto da Sanremo che, fatte le proporzioni è come dire, rispetto all’establishment genovese sobrio e castigato, uno che piomba da una suburra di Casinò, fiches sui tavoli verdi e giochi d’azzardo, aveva usato quei due ruoli come piattaforma per balzare direttamente a Roma e non solo in un luogo, ma in due che più ombelicali del potere spirituale e terreno non si poteva. Sotto la protezione di Tarcisio Bertone, questo ragazzo, profumato di sacrestia, ma anche di un impasto temporale quasi luciferino, sempre vestito di nero, era non solo diventato Priore e consigliere di amministrazione a Genova, ma poi era sceso a Roma diventando contemporaneamente un fido di Cesare Geronzi il superbanchiere allora a Capitalia e di monsignor Mauro Piacenza, oggi cardinale, ex addetto stampa di Siri e ancora oggi segretario della Congregazione per il Clero, addirittura indicato da qualche esperto come papabile.

Rimbalzava, il giovane Marco Simeon, tra gli appartamenti vaticani oltre le Mura, compreso quello papale grazie alla amicizia da liui rivendicata con il segretario di papa Woytila, il sacerdote polacco oggi cardinale di Cracovia, e la sede di Capitalia. E si preparava a diventare nei giochi acrobatici del potere trasversale, che attraversa il Tevere avanti e indietro, il responsabile delle Relazioni Istituzionali della Rai, sotto il regno delle antenne di Lorenza Lei, la direttrice generale da lui a lungo spinta, in quanto fedelissima dell’Opus Dei, al vertice della azienda. Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio……

Non solo Simeon aveva beneficiato della unzione di Arcitarci, ma altri laici adottati a Genova e tanto stimati dal cardinale in ascesa da essere trasferiti a Roma in posizione chiave, come Giuseppe Profiti, ex superdirigente della Regione Liguria, già nominato vice presidente operativo dell’Ospedale Galliera e quindi incardinato a Roma nell’ Ospedale Bambin Gesù, il vertice assoluto nella cura della infanzia e in altri ruoli delicati a cavallo tra il Vaticano, il suo ospedale capitolino e il mondo della sanità. Altri “genovesi “ di ruolo, come il prefetto Giuseppe Romano, incaricato della vicepresidenza dello stesso Galliera, una volta andato in pensione e Domenico Crupi, alto dirigente regionale in Liguria, promosso amministratore dell’ Ospedale di padre Pio di Pietralcina nelle Puglie, anch’egli dipendente dal Vaticano.

Insomma un filo color porpora ha legato dirigenti e funzionari, prevalentemente pubblici al cardinale Bertone in modo tanto forte da far superare gli steccati di carriere che altrimenti sarebbero rimaste rinchiuse in un ambito regionale o magari sarebbero rimaste esiliate tra i fiori di Sanremo, come è il caso di Marco Simeon, oggi in evidente caduta sia al di qua che al di là delle Mura Leonine.

Ma il cardinale di Genova, successore di Siri, Canestri, e Tettamanzi, predecessore di Bagnasco, spesso suo avversario nelle contese vaticane, ha inciso soprattutto, come era plausibile nelle gerarchie vaticane dove ha trasportato i suoi fedeli con un lavoro incessante e continuo, in una sequela di promoveatur che ha elevato alla consacrazione vescovile e alla porpora cardinalizia una vera e propria messe di sacerdoti e monsignori genovesi, tutti piazzati in una mappa curiale: Domenico Calcagno da vescovo di Savona a responsabile degli Affari Economici della Santa Sede, a monsignor Francesco Moraglia, da studioso di teologia della Curia genovese inaspettatamente a vescovo di La Spezia e oggi ancor più inaspettatamente, Patriarca di Venezia, allo stesso Piacenza diventato la terza porpora di origine genovese, che siede in quel sacro Collegio pronto a riunirsi in

Conclave con un Papa “svestito”, a don Nicola Anselmi, giovane prete di belle speranze, nominato responsabile della Pastorale Giovanile in Vaticano, oggi già rientrato a casa, a monsignor Marini ex suo segretario personale diventato il cerimoniere del Papa, quel prelato che sta sempre un passo indietro e lo assiste in ogni rito, vestizione, svestizione, passo liturgico, mossa benedicente e che tutto forse aveva immaginato liturgicamente, spiritualmente, ma mai di stare un passo dietro a un papa che leggeva in latino il suo passo indietro .

Fino a dove questo filo rosso o porpora o magari in qualche caso né rosso, né porpora, ma nero ha legato un intreccio di potere ecclesiale e terreno che è uscito, per usare una terminologia più evangelica, dal seminato del Signore e si è fatto agganciare da altre tentazioni, non respingendole come nei quaranta giorni di Cristo nel deserto, ma cadendovi mani e piedi, come stanno svelando le induscrezioni che escono a valanga dalle stanze vaticane sui giornali, nei racconti choccanti per chi ancora trema sotto le navate delle chiese come a san Lorenzo in Genova?

Quale vera battaglia si sta combattendo tra un papa che se ne va e sta per varare il suo altrettanto imprevisto e improvviso motu proprio e coloro che lo hanno spinto tra svolazzare di tonache, turibolazioni, incontri segreti e ruoli assunti più con gli occhi del Demonio tentatore che con quelli di Cristo redentore, al supremo gesto di andarsene a fare l’eremita?

Per tutto questo si pregherà nella grande cattedrale genovese di san Lorenzo, sotto il mantello e il piviale di sua eminenza Angelo Bagnasco il più addolorato e il più silenzioso, aspettando l’uscita del papa, le elezioni del giorno dopo e quel motu proprio di Benedetto XVI, che potrebbe nascondere l’ultima grande sorpresa, che nessuno aveva previsto e di fronte alla quale tanti in Vaticano tremano come foglie.

Quasi come se temessero che le spaventose profezie di Malachia contengano qualche cosa di terribile: dopo Benedetto XVI un ultimo papa, Petrus Romanus, prima che la Chiesa cattoliche si sfaldi e muoia. Petrus, Pietro è il secondo nome di Tarcisio Bertone, Romanus, Romano è il nome del paese in cui egli è nato Romano Canavese e il 28 febbraio, data della sede vacante è san Romano. Fantasie apocalittiche, pensieri angosciosi contro le quali si alzano gli occhi al cielo e si giungono le mani. In San Lorenzo a Genova.