Elezioni politiche in Francia: il partito di Macron non brilla, ma anche lì pesa l’astensione

Il sistema a doppio turno, piaccia o meno, ha il vantaggio di disegnare le maggioranze, anche a scapito dei numeri nazionali.

di Giampiero Martinotti
Pubblicato il 13 Giugno 2022 - 12:35 OLTRE 6 MESI FA
Elezioni politiche in Francia: il partito di Macron non brilla, ma anche lì pesa l'astensione

Elezioni politiche in Francia: il partito di Macron non brilla, ma anche lì pesa l’astensione FOTO ANSA

Il partito di Macron non brilla, la coalizione di sinistra guidata dal populista JeanLuc Mélenchon resta lontana dal potere, ma sarà la prima forza d’opposizione. Il primo turno delle politiche, con un’astensione altissima, offre un risultato in chiaroscuro: il presidente della Repubblica avrà difficilmente la maggioranza assoluta, ma con una buona dose di doti diplomatiche potrà trovare i mezzi per governare. Mélenchon, che aveva fatto il gradasso (”eleggetemi primo ministro”), ha perso la scommessa, anche se i deputati della sinistra saranno il triplo di quelli eletti cinque anni fa.

Elezioni politiche in Francia, qualche numero

Per la maggioranza presidenziale non è un bel risultato : 25,75 % contro il 25,66 dell’alleanza di sinistra, secondo il ministero dell’Interno. Parità insomma. Ma non è la prima volta che un presidente appena eletto inciampa alle politiche: anche i socialisti di François Mitterrand, nel 1988, furono superati dalla destra unita al primo turno e riuscirono a conquistare solo una maggioranza relativa. E’ quel che capiterà, molto probabilmente, anche a Macron, anche se al giorno d’oggi, dopo la riforma costituzionale del 2008, governare con meno di 289 deputati è più laborioso. Tireremo le somme di queste politiche la sera del 19, quando conosceremo il numero dei seggi di ogni raggruppamento.

Il sistema a doppio turno, piaccia o meno, ha il vantaggio di disegnare le maggioranze, anche a scapito dei numeri nazionali: malgrado il risultato ottenuto al primo turno, la sinistra ha poche riserve di voti ai ballottaggi, nei quali i centristi macroniani saranno avvantaggiati.

Ciò non impedisce qualche considerazione

La prima riguarda la sinistra: sparpagliata non ha alcun peso, unita resta lontana dal potere, ma può perlomeno organizzare un’opposizione degna di questo nome. Ha tuttavia un handicap: un leader come Mélenchon o uno dei suoi successori puòndifficilmente sedurre un elettorato in cui la gauche è largamente minoritaria. La seconda osservazione riguarda Macron ed è quasi lapalissiana: è stato rieletto solo perché i francesi si sono rifiutati di dare in mano ai populisti di destra o di sinistra le chiavi del paese. E se alle presidenziali era l’unico candidato credibile, nel suo partito non c’è nessuno in grado di suscitare non dico entusiasmo, ma almeno un’adesione convinta: la prima ministra, Elisabeth Borne, è certamente capace, ma è totalmente sprovvista di carisma.

La destra moderata dimostra, dal canto suo, di non essere ancora morta. Il vecchio partito neogollista continua ad avere una rete di notabili locali e con il suo 10,5% (rispetto al 4,8% delle presidenziali) riesce quasi a fare una figura dignitosa. Ma il futuro resta incerto: in un panorama politico dominato da centristi, populisti di destra e di sinistra, avrà un bel daffare per non finire succube dell’estrema destra o dei macronisti.

E la Le Pen?

Infine, un’annotazione proprio sull’estrema destra: chi tenta di opporsi al patriarcato o al matriarcato della famiglia Le Pen finisce male. Fu la sorte toccata nel 1998 a Bruno Mégret, è il caso oggi di Eric Zemmour e della nipotina della famiglia (Marion Maréchal Le Pen). In autunno i media avevano trasformato Zemmour nel nuovo protagonista della politica francese. Ieri, dopo il modesto risultato alle presidenziali, è stato trombato al primo turno. I lepenisti, tuttavia, non hanno di che vantarsi troppo: i voti rispetto ad aprile sono diminuiti, ma riusciranno almeno a formare un gruppo parlamentare per la prima volta dal 1986.