Corruzione negli appalti pubblici: denunce poche, vanno premiate

di Gustavo Piga
Pubblicato il 15 Novembre 2012 - 08:14| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Appalti pubblici e corruzione sono binomio indissolubile, anche se la corruzione non è la sola causa del marasma e si accompagna, anzi va a braccetto, con incompetenza. Sono convinzioni diffuse negli italiani, che di tanto in tanto trovano conferma in qualche scandalo.

Ma se andate a leggere con attenzione la tanto sbandierata legge anti corruzione, proprio all’articolo 1, al comma 51, scoprite quella pietosa norma che parla di garanzie e tutele per quei funzionari pubblici che denuncino casi di corruzione, allora capite che la guerra è persa in partenza:

(Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti). — 1. Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.

Come? Non può essere sanzionato? Non può essere licenziato? Non può essere sottoposto a misura discriminatoria? Ma che razza di battaglia volete che si possa fare in questo Paese se non si decide di rivoluzionare la lotta alla corruzione, proteggendo e premiando questi eroi che denunciano i malfattori?

Sarebbero invece da aiutare, proteggere, premiare quegli eroi che una stampa idiota chiama “corvi”. In America vengono chiamati “whistleblower”, suonatori del fischietto, perché fischiando, con il loro coraggio, denunciano atti di collusione e corruzione,

La differenza di etichetta spiega meglio di un trattato quale sia l’atteggiamento diffuso in Italia quando si tratta di denunce di fatti criminali, speci ese turbano un ambiente costituito e organizzato: si può parlare di atteggiamento culturalmente mafioso, radicato e diffuso in tutto il territorio nazionale?

Le conseguenze sono riscontrabili nei dati resi pubblici da un dirigente dell’Antitrust, Pierlluigi Sabatini, che ha elaborato i risultati di 23 anni di interventi dell’Antitrust, da quando è nata l’Autorità.

Nel mio blog li ho definiti “23 anni di dolce far niente”. Ho scritto:

Parlare di sprechi negli appalti è essenziale. Così diventa essenziale parlare di collusione negli appalti e di come questa viene combattuta, visto che la restrizione della concorrenza in gara da parte dei potenziali fornitori della Pubblica Amministrazione porta il più delle volte a prezzi d’acquisto più alti o, meno frequentemente, a minore qualità rispetto a quanto desiderato.

In realtà il tema non è stato mai al centro dell’agenda di politica economica ed industriale del Paese. Lo conferma il numero di istruttorie su collusione in appalti pubblici aperte in questi ultimi 23 anni: la bellezza di 22, meno di una l’anno.

Si noti che in 21 dei 22 casi l’Antitrust ha accertatp la colpevolezza delle aziende e che due soli ricorsi delle aziende sono stati accolti in secondo grado.

Altri dettagli:

4 istruttorie sono state aperte per boicottaggio orchestrato fuori dalla gara: in alcuni casi perché le aziende si sono rifiutate di partecipare ad una gara, in altri casi hanno partecipato praticando lo stesso prezzo, in un caso praticando prezzi alti.

18 istruttorie aperte riguardano collusione in gara: 1/3 con offerte fasulle dei (finti) perdenti, 1/3 con partecipazione selettiva di alcune aziende e non di altre ed 1/3 con partecipazione in ATI (raggruppamenti temporanei d’impresa).

22 istruttorie in 23 anni sono niente. Uno vero e proprio scandalo nello scandalo.

Perché così poche segnalazioni all’Antitrust? Secondo Sabatini, due sono i possibili motivi, tutti e due egualmente credibili:

 a) poche segnalazioni da parte delle stazioni appaltanti.

A sua volta per 3 possibili ragioni:

a1) incompetenza. Le stazioni appaltanti non sanno individuare se l’esito della loro gara è “macchiato” di collusione. Non hanno le competenza sufficienti per farlo. Probabilità che assegno a questo evento: alta. Soluzione? Quella che propongo da tempo: ridurre drasticamente il numero di stazioni appaltanti, concentrarvi le migliori competenze del Paese, adeguatamente remunerate.

a2) esigenza di assegnare la fornitura. Le stazioni appaltanti, non disoneste, temono che denunciando all’Antitrust una possibile (ma non certa) collusione, la gara debba essere interrotta e si debba abbondantemente ritardare la consegna dei beni pubblici domandati. Probabilità che assegno a questo evento: medio/alta. Soluzione? Rimuovere l’incertezza nella testa (mia e delle stazioni appaltanti) che denunciando una possibile collusione non si possa al contempo continuare con l’aggiudicazione della gara fino a sentenza definitiva. Le punizioni al cartello potranno essere adottate a valle di tale sentenza, anche, se possibile, per recuperare i danni dei prezzi alti per i contribuenti.

a3) corruzione. Le stazioni appaltanti non denunciano la collusione perché esse stesse coinvolte. Probabilità che assegno a questo evento: media. Soluzioni? Poche. A meno che …e qui torniamo al punto di partenza di questa nota:

b) poche autodenunce per via dell’inapplicabilità programmi di clemenza. Infatti solo due istruttorie (in 23 anni) sono state aperte per denuncia di ex (?) dipendenti pubblici. Ed 1 istruttoria da membri del cartello pentitisi. Nulla.

Perché, dice l’Antitrust nella sua recente segnalazione al Parlamento ignorata alla grande, non pensare a programmi espliciti di clemenza per quei membri del cartello che denunciano il cartello stesso?

C’è un’autostrada davanti a noi: è libera e vi possiamo far scorrere lungo di essa tantissime decisioni di politica economica ed industriale che riducono sprechi, aumentano la effettiva libertà delle imprese e la loro partecipazione alla vita economica, danno servizi pubblici di qualità alla cittadinanza. Dopo 23 anni di inazione assoluta, è tempo delle decisioni vere, quelle che servono al futuro ed al rilancio del nostro Paese.