Marchionne nocchiero in gran tempesta. E se la barca torna da sola?

Pubblicato il 20 Ottobre 2011 - 17:42| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Della barca in contenuto rollio, l’ardito navigante guarda con orrore il lento ma inesorabile allontanarsi del natante sul quale stava per salire. Paralizzato dalla paura di un bagno fuori programma e conscio delle risate che accompagneranno la sua disavventura non può far altro che procrastinare il più possibile la inevitabile fine. Allarga le gambe più che può nel tentativo di avvicinare quei due mondi, il molo e la barca, che sembrano diventati improvvisamente ostili . Ma è una lotta impari e l’unico risultato è quello di allungare l’agonia e sollecitare l’interesse degli spettatori. Ma c’è anche di peggio. Pensate se nella stessa situazione fosse il molo, quello verso la cui solidità si nutriva fede assoluta, ad allontanarsi dalla barca. La sorpresa che nasce dalla incongruità dell’evento finirebbe per trasformare un innocuo capitombolo in una rovinosa caduta.

Se pensate che quest’ultima evenienza non abbia nessuna possibilità di verificarsi sappiate che probabilmente sarete costretti a ricredervi. C’è infatti un navigatore eccellente, tale Sergio Marchionne che proprio in questi giorni è alle prese con una situazione simile. Il molo che si sposta sono i mercati italiano ed europeo o, più esattamente, la quota che su questi mercati detiene il gruppo Fiat. Con percentuali in caduta libera poco al di sotto o poco al di sopra di marchi premium come Audi e BMW. La barca che si scosta, e che proprio i movimenti scomposti di Marchionne allontana ancora di più, è quella America, terra promessa dove i sindacati sono buoni ed i consumatori pieni di voglia di comprare, sul cui territorio Marchionne ha deciso di giocare le sue carte.

Peccato! Salire in barca sembrava un gioco da ragazzi ed invece ora si rischia un bagno. D’altra parte la vigorosa spinta che serviva a Sergio Marchionne per salire a bordo non poteva che venire da quei mercati. E proprio il loro stato di crisi era alla base della sua strategia. “In presenza del calo della domanda” – afferma il manager italo – svizzero- canadese – “inutile fare nuovi modelli. Se non cè nessuno disposti a comprarli allora meglio bloccare gli investimenti”. E allora l’ingegneria può essere affidata al lavoro interinale e la competività garantita da politiche di marketing e così i costi si risanano, la borsa corre e spuntano i soldi per ripagare il debito contratto con l’amministrazione Usa per l’acquisto di una quota della Chrysler.

Il fatto è che all’interno della crisi del mercato la mancanza di modelli ha generato una crisi Fiat per la quale la quota di mercato, Italia esclusa, in Europa è calata al 3.5%. Il che vuol dire che è l’Italia, dove Fiat vende il 50% della sua produzione, a tenere in piedi la baracca. Ma, purtroppo, in Europa il mercato Italiano è quello che più soffre e Marchionne se ne duole perché lo interpreta come un affronto personale. E risponde con la strategia di riserva basata sul “non mi meritate”. Attuata nei confronti del mercato, del sindacato, di confindustria e di tutti quelli che gli vengono a tiro. E così non è la mancanza di modelli competitivi a far perdere per strada alla Fiat, dal 2008 ad oggi ben 210.000 vetture, ma i consumatori che non comprano ed i sindacati che non collaborano. Non comprano Fiat perché ad altri costruttori, da Volkswgen a Ford, da Peugeot a Renault le cose vanno molto meglio. Visto che le loro quote beneficiano dei “buchi” lasciati aperti dalla mancanza di prodotto da parte del costruttore nazionale.

In passato Sergio Marchionne citava spesso Alice nel paese delle meraviglie per sottolineare la necessità di agire velocemente e senza pause ma ora sarebbe più adatta quella della volpe e l’uva. Il mercato non compra le mie auto ? E allora io non le faccio”. E se l’integrazione con Chrysler si limita alla riedizione italiana di modelli USA non c’è da stare allegri. Il problema che il molo che si allontana complica parecchio la vita di Marchionne. Che già aveva messo in conto di abbandonare quel difficile mercato dove la competizione è tra i modelli e non tra annunci alla stampa ed agli operatori finanziari, per concentrarsi su una Chrysler che, a livello di prodotto, era già stata risanata dalla Daimler.

A partire dalla 300 C (pianale Mercedes GL) oggi in procinto di essere trasformata in nuova Thema e dalla Voyager presto nuovo monovolume Lancia. Ma ora, nonostante una confortante liquidità, la Fiat rischia grosso se vuole conquistare definitivamente il costruttore americano. Perché si tratta di affrontare un confronto difficile con il sindacato che detiene la quota restante. E sulla capacità a del sindacato fa fede lo scontro per il rinnovo del contratto che ha visto Marchionne in evidente difficoltà.

Quel molo che si allontana così velocemente non ci voleva perché c’è ancora bisogno di tempo ed è difficile distrarre ancora per molto politici, sindacati e società , sempre in attesa della conferma degli investimenti dedicati a Fabbrica Italia, abbagliandoli con l’abbandono di confindustria, la conflittualità sulla produttività (applicata a stabilmenti in perenne casa integrazione), la guerra con la Fiom, il consentito della Panda (concesso obtorto collo) e le dichiarazioni sprezzanti.

Perché quando il castello di carte fosse definitivamente caduto Sergio Marchionne avrebbe dovuto già essere al sicuro sulla sua barca in mezzo all’Atlantico. Oggi, purtroppo per lui, è in precario equilibrio a rischio caduta. E qualcuno comincia a pensare che quella barca tornerà sola.