Napolitano, Procura di Palermo e Cosituzione: conflitto di attributi

di Michele Marchesiello
Pubblicato il 7 Dicembre 2012 - 10:10 OLTRE 6 MESI FA
Napolitano, Procura di Palermo e Cosituzione: conflitto di attributi

Dopo la sentenza della Corte costituzionale sul conflitto fra Presidente della Repubblica e Procura di Palermo, ‘annunciata’ (ma non ancora ‘pronunciata’, se è vero che non vi è ‘dispositivo’ che possa essere letto e valutato indipendentemente dalla sua motivazione), soprattutto dopo le prime reazioni che essa ha provocato, è sempre più chiaro che uno dei problemi più gravi che affliggono la nostra già fragile democrazia sia quello del ‘deficit’ di anticonformismo.

Non ci riferiamo all’anticonformismo becero e provinciale di cui fanno sfoggio gli arringatori della piazza o della rete, ma a quello – tanto più difficile – di chi si oppone all’impulso primordiale a schierarsi senza prima sottoporre la propria scelta alla critica della ragione e delle ragioni in campo.

Le opinioni manifestate dopo l’annuncia della sentenza che accoglie, a quanto pare integralmente, il ricorso proposto dal Presidente della Repubblica nei confronti dei ‘giudici di Palermo’ rispondono quasi senza eccezione a quell’impulso. Ci si ‘iscrive’ a un partito: quello dei difensori della Presidenza e del ruolo che, senza dubbio, il Presidente Napolitano ha esercitato in difesa dell’immagine di questo Paese; oppure ci si iscrive al partito dei difensori dei ‘giudici palermitani’, Ingroia in testa, che stanno svolgendo una delicatissima opera di ricostruzione dei rapporti, non sempre limpidi, tra poteri dello Stato e mafia.

Non esiste spazio per posizioni diverse o intermedie. Se appartieni al primo partito, sei ‘nemico di Ingroia’, se al secondo, lo sei del nostro Presidente e automaticamente un ‘fan’ di Ingroia.

Una visione più disincantata consentirebbe di vedere – come nell’altro caso che ha coinvolto la magistratura in un conflitto col potere esecutivo, quello dell’ILVA – come sia in atto, in realtà, uno scontro, un vero e proprio show down che vede, da una parte, i tradizionali poteri politici (esecutivo, legislativo, la stessa Presidenza divenuta a suo modo ‘potere’) e dall’altra parte la magistratura, un potere per definizione ‘minore’ o meno importante, secondo una visione tradizionale. Questo scontro si svolge davanti a un pubblico in gran parte disorientato, disgustato, pronto all’ira: come mai in precedenza bisognoso di buone informazioni, di saldi criteri di giudizio, di opinioni non conformiste.

In questo scontro è la magistratura –vaso di plastica piuttosto che di coccio– a subire le più vistose sconfitte a breve termine. E tuttavia, sul lungo ( e anche sul medio ) termine, quella dei suoi ‘avversari’ è destinata a rivelarsi una vittoria degna di Pirro. Mortificando la magistratura, infatti, lo Stato mortifica se stesso più di quanto non accada con gli altri poteri, per la non semplice ragione che per avere il sopravvento sui giudici è quasi sempre necessario sacrificare la legalità sull’altare della opportunità politica o del cosiddetto ‘realismo’.

Bene ha fatto quindi il professor Franco Cordero a richiamare alla nostra attenzione l’ineludibile carattere ‘geometrico’ del diritto.Per quanto ci si sforzi, infatti, non è possibile disegnare nello spazio euclideo un triangolo la somma dei cui angoli non sia di 180 gradi. Quello che ne risulta è inevitabilmente uno ‘sgorbio giuridico’.

Nel caso delle telefonate presidenziali involontariamente intercettate i punti ‘euclidei’ sono i seguenti:

1 – secondo la nostra Costituzione – a differenza dello Statuto Albertino – la persona del Presidente non è ‘sacra e inviolabile’ come quella di un Sovrano;

2 – il fatto che la Costituzione taccia sul caso specifico non può costringere a farle dire quello che (secondo alcuni) sarebbe desiderabile dicesse; né lo stesso può farsi –a maggior ragione – col codice di procedura penale ,vera e propria ‘carta’ delle libertà processuali del cittadino;

3 – la ‘distruzione clandestina’ ( in udienza segreta!) delle registrazioni viola sia la norma di recente introduzione relativa al ‘giusto processo ‘(art.111) sia l’articolo 24 Cost. che garantisce l’inviolabilità del diritto di difesa: chi può dire che quel materiale non contenga notizie di reato, o prove di innocenza, o indizi che, opportunamente sviluppati, consentirebbero a una indagine di procedere sulla strada già abbastanza impervia dell’accertamento della verità?

Dire che la sentenza della Corte è una sentenza politica è tanto banale quanto improprio. Per un osservatore disincantato è abbastanza chiaro che si è di fronte, più che a un conflitto di attribuzioni, a un conflitto di attributi.