Hollande il segnale, euro addio? Monti ha finito, Nuovo Centro in Italia

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 20 Aprile 2012 - 14:53 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il segnale, la bandiera dello start che si alza sarà Francois Hollande presidente della Repubblica francese. Ovviamente non è stato ancora eletto, i francesi votano domenica per il primo turno, poi i due candidati che hanno avuto più consensi passano al ballottaggio due settimane dopo. Non è detto che Hollande diventi presidente ma tutti se lo aspettano, aspettano appunto il segnale. Segnale di apertura del “biennio elettorale” che va a cambiare la faccia dell’Europa. Votano in sequenza la Francia, la Grecia, l’Italia e la Germania, sequenza che dura neanche diciotto mesi. Sequenza dopo la quale nulla sarà come prima, non la Bce, non il “fiscal compact”, non lo spread e probabilmente neanche l’euro. Diciotto mesi in cui l’Europa, se scatta il segnale, se si leva la bandiera dello start, si avvierà ad essere più “americana”. Americana nel senso della politica economica di Obama: minor rigore fiscale, più spesa ad accendere fuochi di ripresa e crescita economica. Che poi l’America resti tale, che Obama resti presidente alla Casa Bianca è altra e parallela partita.

Il segnale francese sta per scattare mentre a Roma Mario Monti ha finito. Finito di fare quel che ha potuto e saputo fare. Monti resta e resterà ancora per mesi e mesi presidente del Consiglio ma i partiti che lo sostengono, le forze sociali, sindacati e Confindustria in primo luogo e poi il paese tutto d’ora in poi gli consentiranno di far poco e niente. Il “consenso freddo” a Monti e al suo governo sta già glacificando, i prossimi mesi italiani saranno una banchisa in cui nulla si muove  e tutti aspettano che il “ghiaccio” si sciolga al sole di una nuova stagione elettorale. Dallo scorso novembre  e fino a febbraio Monti è stato un rompighiaccio, poi si è fermato ed è stato fermato, quale tra i due sia stato lo “stop primario” è questione simile a quella se venga prima l’uovo o la gallina.

Si è fermato Monti nel momento in cui ha cominciato a contrattare i commi, gli emendamenti, le frasi e le virgole dei disegni e non dei decreti legge con il Pdl, il Pd e il Terzo Polo in appositi e ripetuti vertici. Vertici che hanno prodotto un legiferare a singhiozzo, un fare e disfare che, sia pur con altre proporzioni, ha ricordato il metodo se non il merito delle manovre estive di Berlusconi-Tremonti. Monti si è fermato quando ha dato a Bersani ciò che Bersani doveva dare alla Cgil sull’articolo 18 e poi si fermato quando di conseguenza ha dovuto dare ad Alfano quanto Alfano doveva a Confindustria e alle imprese sui contratti precari. Si è fermato quando ha dovuto sottoscrivere la promessa, sia pur solo di facciata, dell’Imu che si paga un anno solo e poi sparisce. Si è fermato ed è stato fermato quando tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, l’hanno inchiodato alla domanda: e la “crescita” quando e come arriva? Domanda a cui una risposta si potrebbe tentare ma tentarla Monti non può.

La crescita, in “italiano” meno tasse. Si può fare, ma solo abbattendo la spesa. Ma in Italia abbattere la spesa non si può perché non si vuole. In media ogni Regione italiana allinea ed eroga cinquantacinque fonti di incentivazione, cioè di soldi pubblici a sostegno della “qualunque”. Cinquantacinque: uno per l’edilizia, uno per il commercio, uno per i trasporti, uno per…Ad allineare tutte le possibili attività produttive a cinquantacinque ce ne vuole di fantasia per arrivare. Ma se fermi quaranta di quei 55 fondi per abbassare le tasse ai quindici comparti che possono fare Pil, in Italia scoppia la rivolta. Abbattere la spesa…dei pochi disoccupati che cercano lavoro solo il sette per cento il lavoro lo trovano attraverso le agenzie pubbliche di indirizzo appunto al lavoro. Ma in quelle agenzie lavorano 20mila persone, se non si spende più per quelle agenzie di inefficienza, che si fa, si licenziano quei ventimila? In Italia c’è da tempo una linea di governo che la sinistra impugna e persegue quando governa: mantenere altissima la spesa finanziandola con le tasse sempre più alte. Invece quando ha governato la destra, di certo più a lungo della sinistra, la linea di governo è stata: mantenere altissima la spesa pubblica finanziandola non con le tasse ma con il debito. Monti ha fermato, tamponato il debito prima che arrivasse alla bancarotta. Ma la spesa no, quella non può fermarla, l’Italia tutta glielo impedisce. E se mai per un momento Monti avrebbe potuto tentare di fermarla la spesa, su questo punto Monti si è fermato da solo. Quindi Monti ha finito, anche in Italia  sta scattando il segnale.

Segnale che d’ora in poi la partita italiana sarà elettorale e se la giocheranno due squadre, due squadre che ancora vanno a comporsi e come si comporranno non è scritto, ma due squadre e solo due, le altre a contorno. Una delle due squadre sarà quella di sinistra, quella che aspetta Hollande presidente e immagina di muoversi anche in Italia a sua immagine e somiglianza. Ridiscussione del patto fiscale europeo e quindi degli obiettivi stringenti di pareggio di bilancio, eurobond o quel che sia a sostegno dell’economia e a garanzia del debito, iniezioni di stimoli pubblici nell’economia e mantenimento della spesa pubblica a garanzia e custodia della pace sociale. I pesi e i ruoli in questa squadra sono da definirsi ma la squadra giocherà questo e non altro gioco. Sarà una squadra formata in combinazioni ancora da definire dal Pd di Bersani, da Sel di Vendola e dall’Idv di Di Pietro. Non è chiaro chi sarà il capitano o il regista o il mediano di fatica, ma la squadra è quella.

L’altra squadra sarà un nuovo centro, aperto agli affluenti di destra ma non alla Lega o alla destra irresponsabile e impresentabile. Sarà una squadra che dice in campagna elettorale: volete davvero dare il paese alla Fiom, ai No Tav, alla Camusso? Sarà una squadra con dentro Casini e Fini e la parte politica della Cisl e il mondo cattolico organizzato nella società e molto di quello che oggi è il Pdl. Berlusconi non ne sarà il padrone e neanche la bandiera, ma non è detto che non riesca ad esserne l’antenato riconosciuto. Se la giocheranno queste due squadre la partita elettorale italiana. Squadre contrapposte ma entrambe decise a cambiare i connotati dei vincoli europei così come sono. La nuova Lega di Maroni e il nuovissimo Cinque Stelle di Beppe Grillo faranno da più o meno robusti contenitori di tutto ciò che le due squadre non raccoglieranno nell’urna elettorale, sarà un grande raccolto ma senza reale “cascina” in cui immagazzinarlo.

Nel frattempo avrà votato la Grecia: i sondaggi dicono che entreranno al Parlamento di Atene una decina di partiti, di cui almeno otto contrari al patto sottoscritto da Atene con l’Europa, la Bce e il Fmi. Chi governerà in Grecia di fatto vorrà rinegoziare. Poi voterà la Germania. Forse spaventata da Hollande presidente francese, dall’Italia dove Monti ha finito, dalla Grecia che non ci sta, la Germania conferirà alla Merkel e al suo partito nuovo mandato per chiamarsi fuori da quella che apparirà come una pericolosa Babele. O forse la Spd tedesca vincerà e farà in qualche modo da sponda al nuovo corso, quello della Bce che stampa di fatto moneta altrimenti l’Europa diventa come gli Usa nel 1929. La Spagna così non può reggere, l’Olanda rischia la perdita della tripla A sui mercati finanziari, ovunque avanza la disoccupazione. Economisti e politici implorano di smetterla con il rigore che uccide e di dare ai paesi e alle popolazioni che soffrono respiro, respiro che vedono ed equiparano all’unica carta da giocare.

Alla fine del biennio, anzi dei diciotto mesi elettorali che partono domenica a Parigi potrà avverarsi la “profezia” di Paul Krugman: “L’Europa può salvarsi se si libera dall’euro”. Scrive l’economista che sostiene a spada tratta Obama: “Negli anni Trenta il requisito basilare per la ripresa fu uscire dal sistema aureo, oggi una mossa equivalente sarebbe uscire dall’euro e ripristinare le valute nazionali. Si potrebbe affermare che4 ciò è inconcepibile, d’altro canto ad essere davvero inconcepibile è l’idea di poter continuare lungo questa strada e imporre austerità sempre più intransigente a paesi che già soffrono per una disoccupazione a livelli di Grande Depressione…Il continente europeo ha bisogno di politiche monetarie più espansive…di una Bce disposta ad accettare inflazione…di più espansive politiche fiscali…”. Il biennio elettorale europeo sta per dar ragione, o meglio per mettere alla prova, la “profezia” di Krugman: Hollande è il segnale, Monti ha finito, Nuovo Centro in Italia, la Grecia si sfila, la Spagna boccheggia, l’euro si scolla. Sarà così, se sia nuovo inizio su nuova e fertile strada oppure ultima stazione su cui il modello europeo si schianta e si sfascia questo nessuno può dirlo, nemmeno i mercati. Tra diciotto mesi sapremo.