Emanuela Orlandi, per la moglie di Agca la pista che porta in Vaticano è falsa, come quelle islamica e bulgara

Emanuela Orlandi, per la moglie di Agca non solo la pista bulgara è falsa, ma anche quella che porta in Vaticano e quella islamica

di Pino Nicotri
Pubblicato il 18 Giugno 2023 - 06:51 OLTRE 6 MESI FA
Emanuela Orlandi, per la moglie di Agca la pista che porta in Vaticano è falsa, come quelle islamica e bulgara

Emanuela Orlandi, per la moglie di Agca la pista che porta in Vaticano è falsa, come quelle islamica e bulgara

Emanuela Orlandi scomparve 40 anni fa, il 22 giugno del 1983. Il più fitto mistero avvolge il suo destino, aggravato da una serie di falsità, mitomanie e depistaggi.

Pino Nicotri ha intervistato Elena Rossi, la moglie italiana di Alì Agca, il turco che sparò, senza ucciderlo, a papa Wojtyla Giovanni Paolo II, figura costante nella leggenda di Emanuela.L’intervista è molto lunga (oltre 7 mila parole). La pubblichiamo in 7 puntate, una è uscita on line domenica 11 giugno

Emanuela Orlandi 40 anni dopo, per la moglie italiana di Agca la pista bulgaro-sovietica montatura: cercate a Roma 

 le altre fra domenica 18 e giovedì 22 giugno, anniversario. Ecco la seconda puntata del sequel su Emanuela Orlandi.

Sì, ma la cosiddetta pista bulgara?

Non solo la pista bulgara è falsa, ma anche la pista islamica e quella “interna” al Vaticano lo sono. In particolare la “pista interna” che ancora oggi sembra riscuotere un certo successo. Essa presuppone un mandante tra gli alti prelati contrari alla politica antisovietica di Wojtyla sulla quale si è concentrata la terza inchiesta condotta dal giudice Priore. Secondo tale prospettiva, il più gettonato, tra questi presunti prelati committenti,  risulta essere il cardinale Casaroli favorevole al dialogo con Mosca, che invece non c’entrava proprio niente.

Questa pista  si basa principalmente su di una foto scattata il 10 maggio 1981 alla parrocchia romana di San Tommaso d’Aquino che ritrae un giovane uomo vagamente somigliante ad Ali. Quell’uomo si trovava in un’area riservata accessibile solo da parte di chi era provvisto di un invito emesso da un ufficio del Vaticano stesso. Di recente ho avuto modo di fare restaurare quella foto e si vede chiaramente che quel tizio non era Ali Ağca,  ennesima bufala quindi.

Anche Oral Çelik, durante gli interrogatori, avvalorò la pista interna, ma ritengo sia stato “imbeccato” poiché lui dell’attentato al Papa non sapeva assolutamente nulla.  Né dell’attentato né di Emanuela Orlandi come il suo libro Il segreto dei segreti, pubblicato solo in turco, ben dimostra. Lo pubblicò nel 2002 poco prima di presentarsi alle elezioni e quindi a scopo autopromozionale.

Nessun servizio segreto serio avrebbe ingaggiato un pasticcione come Agca, per giunta già condannato per omicidio. Un magistrato mi ha detto che, evaso dal carcere, nella sua fuga dalla Turchia diretto a Roma per sparare al Papa ha usato a volte per gli alberghi i propri documenti veri. Inoltre non è credibile che un professionista degno del KGB spari in una folla con una pistola senza silenziatore e a braccio teso neppure coperto da una giacca o da un giornale per nascondere la pistola. Per giunta Agca inciampa e cade a terra, lasciandosi catturare da una suora, come un dilettante qualunque. 

Non so chi sia questo magistrato,  ma posso immaginarlo, comunque le ha mentito perché Ali si è mosso per l’Europa con un unico passaporto, intestato a Faruk Özgün, lo stesso che aveva al momento dell’arresto il 13 maggio 1981. Le autorità turche non hanno mai emesso un passaporto a nome Mehmet Ali Ağca prima del 2010, anno della sua scarcerazione definitiva.

Ali Ağca non ha mai avuto un passaporto a suo nome prima di quella data.  E sfido chiunque a dimostrare il contrario! Dopo la fuga dal carcere, andò in İran con un passaporto “prestato” dal suo amico Arkan, che anche io conosco, per questo nessun albergo lo accettava e fu costretto a dormire le prime 10 notti su un autobus.

Rientrato in Turchia, gli rimediarono un passaporto farlocco, intestato a un indiano con il quale si recò in Bulgaria. Rimase a Sofia per 40 giorni ( non 2 mesi !) unicamente per aspettare un passaporto buono da parte del suo amico Abdullah Çatlı che glielo consegnò alla frontiera turco/bulgara alla fine di agosto 1980.

Con il nuovo passaporto, ( quello vecchio venne stracciato), passando per la Jugoslavia e la Francia, andò a Zurigo dove lo aspettava Mahmut İnan, un lupo grigio sposato con una donna svizzera.

Quel magistrato probabilmente aveva interesse a collocare Ali in Germania, dove non è mai stato. Infatti non c’è traccia di Faruk Özgün in quel Paese, poiché in Germania aveva sede la Federazione turca, presieduta da Musa Sedar Çelebi, cittadino turco chiamato in correità per l’attentato al Papa, mentre, in realtà era totalmente estraneo a quel fatto!

Pensi che l”agenda di Çelebi, sequestrata dopo il suo arresto, venne data ad Ali affinché memorizzasse alcuni numeri di telefono da usare poi come elementi di prova contro il malcapitato (un ingegnere incensurato, una brava persona che ha rigato diritto tutta la vita) .

 Ma arrivò il giudice Carlo Palermo che scoprì l’inghippo. Che fine ha fatto la sua indagine?

Nel febbraio 1983 Palermo interrogò Ali nell’ambito della sua inchiesta sul traffico internazionale di armi e droga. Alcuni nomi già presenti nell’inchiesta sull’attentato al Papa, condotta dal giudice Martella, comparivano anche nell’inchiesta del giudice Palermo.

Durante l’interrogatorio, Ali gli fornì dei numeri di telefono di turchi residenti in Austria presi proprio dall’agenda del povero Çelebi. Il dott. Palermo non ci vedeva chiaro ed ebbe il lampo di genio di andare a verificare la storia di quelle utenze, così si accorse, faccia bene attenzione, che erano state attivate dopo l’arresto di Ali Ağca! Come faceva allora ad averle?!

Palermo dispose quindi un secondo interrogatorio con Ali al quale richiese che fossero presenti anche il giudice Martella e l’avvocato di Ali, Pietro D’Ovidio. Palermo contestò il fatto ad Ali che si trovò in notevole imbarazzo, come intrappolato tra l’incudine e il martello, provò ad avanzare qualche scusa, ma alla fine confessò che quei numeri di telefono li aveva avuti in carcere. (Come del resto tutto quello che riguardava i tre cittadini bulgari tirati dentro all’attentato al Papa).

Tutto ciò non arrivò mai al processo perché pare che il secondo verbale, redatto da Palermo, sia svanito nel nulla. Ali Ağca avrà anche raccontato un sacco di balle, ma non è stato il solo!

La seconda istruttoria è piena di questi fatti, puntualmente smascherati dal buon lavoro condotto dagli avvocati della difesa. (Al riguardo consiglio la lettura di Attacco al Papa di Giuseppe Consolo, dove vengono illustrati molti particolari interessanti. A un certo punto però l’autore deraglia poiché indica quali responsabili dell’operazione di soffiaggio ad Ali Ağca i Servizi segreti, in particolare il Sismi e il generale Pietro Musumeci, il che non è vero. I sospetti vennero effettivamente fatti convergere sul Sismi proprio perché non c’entrava, mentre invece c’entrava molto un certo Sisde.)

La prima parte della intervista a Elena Rossi, moglie italiana di Ali Agca, l’attentatore di Papa Wojtyla, è stata pubblicata domenica 11 giugno 2023:

Emanuela Orlandi 40 anni dopo, per la moglie italiana di Agca la pista bulgaro-sovietica montatura: cercate a Roma