Bersani e la “manovrina” di primavera

di Salvatore Gatti
Pubblicato il 20 Gennaio 2013 - 16:22| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Pierluigi Bersani (Foto LaPresse)

Non è esclusa una manovra finanziaria a primavera. Dipende dal grado di tolleranza con cui l’Unione europea guarderà ai disastrati conti italiani: se cioè ci suggerirà o no un’intervento di finanza pubblica. Ma dipende anche dall’Italia. “Basta rincorrere la recessione con manovre e contromanovre”, dice infastidito dall’argomento, molto insidioso in campagna elettorale, Pier Luigi Bersani. Il candidato presidente del Consiglio del Partito democratico evita di affrontare uno dei problemi sul tappeto: la “manovrina” di primavera.

Eppure era stato lui a parlare di “polvere sotto il tappeto” forse lasciata dal governo di Mario Monti. E i conti sui quali ragionare ci sono già. Sono quelli della Banca d’Italia: un prodotto interno lordo in calo dell’1 per cento quest’anno rispetto al 2012 (prima la Banca era più ottimista, precedeva “solo” un meno 0,2 per cento); la domanda interna che non ha ancora raggiunto un punto di svolta; la disoccupazione che l’anno prossimo toccherà l’altissimo livello del 12 per cento, innescando conflitti sociali diffusi e pericolosi, una vera e propria emergenza democratica.

Ma di quanto dovrà essere questa “manovrina”? Secondo diverse stime, tra i 12mila e i 7 mila miliardi. Ma si tratta, in realtà, di stime prudenziali che non tengono conto di due fattori: 1. La possibilità che il prodotto interno lordo, vista la dilagante crisi dell’industria e dei servizi, diminuisca più dell’1 per cento dell’ultima stima della Banca d’Italia. 2. La probabilità che i mercati, che si sono assestati su uno spread di circa 260 punti rispetto alla Germania con al governo un moderato come Mario Monti, a veder insediarsi a palazzo Chigi un uomo proveniente dall’ortodossia comunista come Bersani per di più affiancato da un giovane estremista come Nichi Vendola reagiscano male, facendo risalire lo spread e quindi il costo del servizio del debito.

A quel punto ci sarebbe bisogno di ben più di 7 miliardi. O di 12.

Per questo sarebbe bene che il silente segretario del Partito democratico, che dovrebbe avere come capo della coalizione l’autorità di “dare la linea” (come si diceva un tempo) faccia una operazione di verità, di trasparenza, si compiaccia di studiare i conti e dica agli italiani e ai mercati: 1. Se farà questa “manovrina” di primavera. 2. Di quanto sarà o almeno tra quali cifre potrà oscillare. 3. Da chi e come sarà pagata. 4. Se invece non intende farla, quali sono le cifre e le prospettive che lo spingono a cotanto ottimismo.